La vita nell'era del copiaincolla
Zoe è un sistema basato su un chip impiantato nel corpo umano che registra tutte le immagini dell'intera vita di una persona. Dopo la morte il filmato viene editato da un montatore, che realizza un 'rememory', una specie di riassunto dei momenti più significativi dell'esistenza. Mostrato durante una sorta di cerimonia, il rememory raccoglie solitamente quel che serve a costituire un ricordo edificante e gradevole del defunto. L'abilità nel garantire l'assoluzione a clienti corrotti ha reso Alan Hackman (Robin Williams) il più richiesto e il più ricco tra i montatori, ma l'abitudine osservare la vita altrui lo ha trasformato in un uomo distante, incapace di vivere in prima persona. Si definisce un 'divoratore di peccati' e il suo lavoro gli offre la possibilità di perdonare le colpe di chi è passato a miglior vita. Forse spera che, discolpando gli altri, in qualche modo potrà perdonare sé stesso. Non tutti vedono di buon occhio questo giocattolo per ricchi privilegiati incapaci di convivere con ricordi scomodi e un vivace movimento d'opinione è attivo per condannare e combattere il fenomeno. Montando una 'Rememory' per un alto funzionario della Zoe Tech, Alan scopre casualmente un'immagine della propria infanzia che da sempre lo perseguita. Questa scoperta lo porterà a compiere una frenetica indagine alla ricerca di verità e redenzione.
Robin Williams ancora una volta nei panni problematici del personaggio ombroso al limite della psicopatia, la sua maschera (già indossata in film come One Hour Photo o Insomnia) alternativa a quella sdolcinata e sentimentalista forse più attestata. Il film di Omar Naim, che si avvale del lavoro dell'ottimo Tak Fujimoto (Il silenzio degli innocenti, Il sesto senso, Signs) è completamente dominato dalla sua figura, e se questo va certamente a vantaggio del suo protagonista, non si può dire che ciò accada per meriti e scelte di sceneggiatura.
Le implicazioni etiche e filosofiche si sprecano in questa pellicola appartenente a pieno titolo alla fantascienza "seria", quella che da sempre riflette sulle grandi questioni dell'esistenza ritagliandosi un doppio spazio di autonomia morale, affrontando temi reali in un universo di finzione e distanziandoli temporalmente nel futuro. E' giusto manipolare i ricordi? Di un uomo vanno valutate le azioni che compie o l'immagine che di lui si trasmette ai posteri? Bisogna o no assecondare il desiderio naturale di dimenticare le cose spiacevoli? La memoria di un defunto appartiene a chi gli sopravvive, che può usarla a suo vantaggio?
The Final Cut è un film che sin dal titolo si presta anche ad alcune riflessioni metacinematografiche: fino a che punto un montaggio di immagini vere è ancora un film vero? Dove finisce l'autonomia del creatore e dove inizia il diritto di decidere della committenza?
Peccato che tanta carne al fuoco si regga alla fine soltanto sulle spalle delle innegabili doti istrioniche di Williams, che si staglia su un vuoto pneumatico a stento temperato da un confuso montatore ribelle (James Caviezel) e da un'incomprensibile e banale libraia (Mira Sorvino) che dovrebbe rappresentare qualcosa (la tradizione, la solidità del dato reale, dell'informazione non in divenire?) ma che in realtà serve esclusivamente a dare il pretesto per un improbabile e inutile storia d'amore. Thriller per esigenze di marketing più che per vocazione, The Final Cut parte deciso con toni "malati" ed drammatici (bellissimo il prologo) per poi complicarsi la vita in maniera del tutto improduttiva, ripiegandosi in una sceneggiatura improbabile. Naim sarà anche un più che discreto regista capace di costruire emozioni con la pura forza delle immagini, ma non riesce a convincere neanche per un attimo che qualcuno possa pagare tanti soldi per qualcosa che minaccia così gravemente la propria privacy, o che ci sia qualcuno che si infervori a tal punto da arrivare a tacciare di blasfemia chi si diletti di una tale pratica, o che - infine - uno scandalo sessuale possa mettere a repentaglio la solidità di una multinazionale e la sua intera tecnologia.