La via della violenza per Winterbottom: intervista al regista

Dopo le polemiche al Festival di Sundance per l'insostenibile violenza di alcune sequenze, Michael Winterbottom presenta il suo controverso 'The Killer Inside Me' anche al pubblico berlinese, suscitando reazioni contrastanti anche presso la platea dei giornalisti alla proiezione stampa.

Dopo la controversa accoglienza presso il pubblico di Sundance, The Killer Inside Me, tratto dal glaciale romanzo del geniale scrittore pulp Jim Thompson, approda in concorso anche al Festival di Berlino, continuando a macinare polemiche. Anche in questo caso, infatti, il film di Michael Winterbottom - che in alcune scene di violenza si spinge quasi oltre il confine del rappresentabile per una produzione mainstream - ha sembrato lasciare interdetti non pochi spettatori, che hanno perfino abbandonato la proiezione stampa. Forse è per questo che, dopo le polemiche di Sundance, alla conferenza berlinese erano presenti soltanto il regista Michael Winterbottom e il produttore Andrew Eaton, mentre non ha preso parte alcun membro del cast (che annovera tra gli altri Casey Affleck, Jessica Alba e Kate Hudson). Sconfessando la versione apparsa su alcuni tabloid, che parlavano dell'abbandono della sala da parte di Jessica Alba a Sundance, il regista spiega le proprie posizioni sul tema della violenza e sulle modalità di adattamento del romanzo di partenza.

Signor Winterbottom, gradirei sapere cosa voleva mostrare di nuovo in questo film, perché la sua rappresentazione del serial killer mi è sembrata totalmente piatta e ricolma di cliché.

Michael Winterbottom: Perché non mi dice lei qual è un'idea originale per un film? Io ho semplicemente tentato di adattare in maniera più letterale possibile il romanzo L'assassino che è in me di Jim Thompson, un libro che amo molto e che desideravo trasporre da molto tempo, interrogandomi su quale fosse il modo migliore per farlo senza tradire il testo originale.

Dopo aver realizzato opere socialmente impegnate sulla violenza come The Road to Guantanamo adesso ha girato un film che mostra una visione decisamente diversa sull'argomento. Si tratta di un approccio isolato al genere, o sta cambiando il modo di concepire il cinema? Michael Winterbottom: Non ho un approccio definito al cinema, ma semplicemente mi faccio ispirare dalle storie che di volta in volta mi piacerebbe mettere in scena. Come ho già detto, ho amato molto il libro originale, e in questo caso il mio desiderio era trasporlo nel modo più fedele possibile. Penso che la violenza non debba mai intrattenere o divertire, ma far star male. Ciascuna storia necessita di un approccio diverso per essere raccontata visivamente.

È vera la notizia, riportata da alcuni giornali, secondo la quale Jessica Alba, dopo le reazioni negative del pubblico di Sundance alle scene di violenza, abbia abbandonato la sala? Andreaw Eaton: Niente affatto, si tratta di pura invenzione. Jessica ha soltanto salutato all'inizio il pubblico in sala e poi è tornata subito a Los Angeles, prima ancora che la proiezione cominciasse.

Ho molto apprezzato il suo film, a parer mio uno dei migliori visti al festival. Può parlarci del mondo con il quale rappresenta la violenza nel film? Michael Winterbottom: Il cinema e la narrativa mainstream tendono a rappresentare la violenza come qualcosa che intrattenga il pubblico. Sono contrario a questo approccio di spettacolarizzazione e con questo film ho cercato di mostrare una violenza in grado di scioccare gli spettatori, impedendogli la catarsi e l'accettazione. In questo modo credo si aver rispettato il significato della violenza presente nel romanzo originale che, pubblicato nel 1954, provocò la stessa reazione indignata da parte del pubblico dell'epoca.

Può parlarci della scelta musicale del film, in particolare per quanto riguarda l'opera lirica?

Michael Winterbottom: Il disco di opera che il protagonista ascolta nel film è di suo padre, come pure lo sono i libri che legge e l'intera casa. Ho voluto in questo modo tentare di stabilire una connessione forte tra il personaggio e suo padre, come se fosse una sorta di ombra che il protagonista si porta dietro, e da cui derivano gran parte dei suoi comportamenti devianti.

Nella scena finale lei intravede una sorta di redenzione per il personaggio? Michael Winterbottom: Personalmente non l'ho vista in questi termini. Penso che nel libro non ci sia alcuno spazio per la redenzione o la catarsi. Lou Ford è un personaggio debole, autodistruttivo. Non sa far altro che annientare in maniera stupida e immotivata tutto ciò che ama.

Come è arrivato alla scelta di Casey Affleck per la parte del protagonista? E stato la base su cui costruire l'intero film? Michael Winterbottom: Il mio obiettivo era quello di trovare degli attori che si adattassero il più possibile alla descrizione del libro e, dopo aver condotto delle audizioni, Casey mi è sembrato l'incarnazione ideale di Lou Ford. Sono molto felice di aver lavorato con lui, perché non partecipa a molti progetti e penso che abbia deciso di essere coinvolto in questa produzione low budget soltanto per passione. Credo sia un attore straordinario e che si sia calato in maniera il più aderente possibile al ruolo. Ma anche tutti gli altri interpreti, da Jessica Alba, a Kate Hudson, fino alla piccola partecipazione di Bill Pullman, sono stati scelti per rispecchiare i rispettivi personaggi. Sono molto soddisfatto del risultato finale.

Come invece ha lavorato con le attrici Jessica Alba, a Kate Hudson?

Michael Winterbottom: Con Casey ho avuto l'opportunità di girare molto più a lungo, mentre Jessica e Kate sono state presenti soltanto per pochi giorni di riprese, quindi naturalmente il loro coinvolgimento è stato minore. Del resto nel film prevale il punto di vista del protagonista e ho cercato di concentrarmi in particolare su quello.

Il protagonista di The Killer Inside Me è un serial killer che agisce in maniera estremamente organizzata e razionale. Ha tratto ispirazione da qualche film, come American Psycho e La rabbia giovane? Michael Winterbottom: pur apprezzando queste opere, come ho già detto, in questo caso l'ispirazione principale è stato il libro originale, di cui ho cercato di catturare l'atmosfera fin nel più piccolo dettaglio.

Come si rapporta con il fatto che il protagonista scagli la propria furia in prevalenza contro vittime femminili? Non pensa di aver dato una rappresentazione misogina della violenza? Michael Winterbottom: In una società come quella descritta nel libro, in cui ha dominare è il ruolo maschile, la violenza è espressione dell'abuso di potere maschile. Non penso che nessuno, vedendo il film, possa pensare che il mio protagonista sia un eroe, o un modello da seguire, ma semplicemente un uomo che ha una visione distorta e perversa della violenza.

Con il suo film ha pensato di tracciare una rappresentazione realistica delle violenza, oppure mitizzata? Michael Winterbottom: Ritengo che il libro originale sia soprattutto un'opera che descriva un universo di finzione, esagerato, pulp. Quasi una rappresentazione shakespeariana, una sorta di melodramma estremo, ed è a questa visione che ho cercato di attenermi.

Uno degli elementi portanti dell'opera di Jim Thompson è il linguaggio. Come ha cercato di rendere questo aspetto? Michael Winterbottom: Molti dialoghi sono stati trasposti fedelmente e ho cercato di riportare anche alcuni monologhi interiori del personaggio. Il problema principale è che il romanzo è narrato in prima persona, ed è stato estremamente difficile rendere questo aspetto dal punto di vista visivo. Ho tentato di riproporre ciascun dettaglio del film nella maniera più attenta possibile, facendo un lungo lavoro di ricognizione per trovare le location, i paesaggi, gli oggetti adatti e per riprodurre l'atmosfera anni Cinquanta. Ho cercato di attenermi a una messa in scena molto semplice e diretta, evitando eccessivi movimenti di macchina.