Il dottor Price sa tutto della paura: ha conosciuto le potenzialità del'immaginazione umana, il potere dell'illusione, e sa che la mente può controllare la fragilità del corpo, ma anche trascinare il corpo nella disperazione e nelle dissoluzione. Così l'uomo che ha esplorato la psiche conosce la natura della propria rovina prima di sprofondarvi: dipendente dal laudano, quest'uomo che non riesce a superare la tragedia che l'ha colpito accetta un bizzarro incarico affidatogli dalla Winchester Repeating Arms nella speranza di sanare i suoi debiti, non può immaginare il legame profondo tra le proprie vicende personali e la misteriosa e ricchissima vedova di cui gli viene chiesta una valutazione psichiatrica.
Con il medico interpretato dal bravo e affascinante Jason Clarke, attraversiamo dunque gli Stati Uniti del 1906 per inseguire una leggenda: quella di Sarah Lockwood Winchester, la donna che sposò il figlio del fondatore della compagnia a cui si deve il più letale e famoso strumento di morte della storia americana a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Rimasta vedova, Sarah Winchester si ritirò a vita privata e si dedicò all'ampliamento frenetico e interminabile della fattoria che aveva acquistato a San Josè, a sud di San Francisco. Ogni giorno e ogni notte per trentotto anni, fino al giorno della morte della vedova, avvenuta per cause naturali nel 1922, operai, manovali e carpentieri edificavano, piallavano, saldavano, trasportavano materiali. In nome dei defunti, narra il mito: anime innumerevoli strappate alla vita da un colpo di Winchester, decise a tormentare la coscienza e la famiglia della vedova, in cerca di pace, consolazione, vendetta.
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Nella casa costruita dai fantasmi
Le premesse de La vedova Winchester sono quelle del più classico racconto da casa stregata, con la deviazione in territorio di "frontiera" e un'imagery alternativa e decisamente a stelle e strisce, in barba alla nazionalità dei protagonisti, una britannica e un australiano, e al fatto che il film sia stato girato interamente a Melbourne. Ma per trovare un esempio di come questo genere di connubio sia stato centrato meglio che nel film dei fratelli Michael e Peter Spierig basta pensare alla prima stagione di American Horror Story, in cui il motivo della casa infestata si arricchiva di suggestioni visive e sensoriali fresche e originali e si allacciava efficacemente alla cronaca e all'immaginario della vecchia Hollywood. Qui, sebbene lo scenario sia sfarzoso e gli interpreti magnetici, la sceneggiatura fatica a creare autentica tensione drammatica e a dare spessore alla backstory dei personaggi, e i meccanismi della paura sono tra i più frusti e prevedibili che ci sogneremmo di vedere in un film horror contemporaneo.
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La costruzione, replicata con attenzione maniacale sul set australiano, è certamente bizzarra e ingegnosa, con dovizia di dettagli: passaggi nascosti, soluzioni brillanti, invenzioni funzionali alla navigazione del labirinto utili in una casa che, nel 1906, l'anno in cui è ambientato il film dei fratelli Spierig, era già talmente grande e caotica che i domestici avevano bisogno di una mappa per non perdersi al suo interno. Non sembra perdere l'orientamento, nonostante il suo abuso di laudano e gli incontri con non meglio identificate entità trapassate chiamate in causa per produrre una serie piuttosto goffa di effetti jump scare, il dottor Price, mentre indaga sugli oscuri e inquietanti accadimenti notturni della magione, con la sua ospite che comunica con i morti e uno spirito particolarmente furibondo e implacabile che minaccia il nipotino e le manovre rumorose e brulicanti degli operai edili, che non contribuiscono certamente a creare un'atmosfera conturbante.
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La dama in nero e l'eroe "disarmante"
Come la sceneggiatura fatica a fare sì che un qualsivoglia senso di mistero si sprigioni dal labirinto di Casa Winchester, né a rendere giustizia alla sua storia, qualcosa di analogo avviene con i personaggi principali, che pure rappresentano uno degli elementi più accattivanti del film grazie al prestigio degli interpreti. Se la trentenne Sarah Snook, che abbiamo visto armata fino ai denti nell'episodio di Black Mirror Gli uomini e il fuoco oltre che nel precedente lavoro dei fratelli Spierig Predestination, è qui relegata a un ruolo insignificante, Helen Mirren mette a frutto con la consueta maestà un'entrata in scena ben studiata per la sua carismatica dama in nero, ma non riesce a dare autenticità ai tormenti di Sarah Winchester: né il dolore per marito e figlia scomparsi, né i timori per i parenti rimasti in vita, né i suoi sensi di colpa per l'ecatombe provocata dall'attività di famiglia arrivano a scalfire la pelle dello spettatore presto anestetizzato dai primi salti sulla poltrona, provocati da una pletora di insulsi ectoplasmi a mala pena distinguibili l'uno dall'altro, e dal piatto e convenzionale score di Peter Spierig; Jason Clarke, che appare ben più squilibrato e sofferente della vedova (presunta) psicotica, ha la presenza scenica che gli conosciamo ma fallisce nel trovare l'equilibrio benefico del moderno eroe inquisitivo, tra razionalità ed empatia.
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Se vogliamo scovare un motivo valido per vedere La vedova Winchester, è probabilmente nell'attualità del suo messaggio politico, alla luce delle ultime tragedie causate dalla diffusione selvaggia delle armi da fuoco. Il film fa un buon lavoro nel sottolineare l'insensatezza e la devastazione impersonale della morte condotta con armi automatiche, ma basterà a risvegliare i fantasmi di certe coscienze intorpidite dal benessere e dal privilegio?
Movieplayer.it
2.0/5