Quante "anime" ha lo Studio Ghibli? Tante, perché rispondono alle infinite potenzialità della fantasia umana, ma se dovessimo individuare il mezzo prediletto dalla sua immaginazione, potremmo parlare di un treno che viaggia su due binari paralleli: uno dedito al fantastico, l'altro radicato ad un estremo realismo. Da una parte la necessità dell'evasione più spensierata, dall'altra il bisogno di raccontare pagine della storia più spietata; da un lato una via di fuga colorata e innocente, dall'altro un'ancora che lega protagonisti e spettatori all'orrore della realtà. A confermare questa natura ibrida dell'amato studio d'animazione giapponese, c'è il ricordo di un lontano 1988. Nei cinema giapponesi arrivano due film completamente diversi tra loro: La tomba delle lucciole di Isao Takahata e Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki. Un'uscita "a braccetto" insolita ma allo stesso tempo significativa, accompagnata da una frase di lancio che recitava così: "Siamo venuti a recapitare qualcosa di dimenticato". Due storie di un Giappone sommerso per due anime che vengono proposti insieme, uno dopo l'altro; quasi una dichiarazione d'intenti voluta da Miyazaki e dal suo maestro Takahata, promotori di un'osmosi narrativa dove speranza e dolore possono e devono convivere. Ed così che, a seconda dell'ordine di proiezione (casuale e non programmata), le espressioni degli spettatori fuori dalla sala cambiano radicalmente.
Perché se la storia di Totoro catapulta il pubblico in un mondo ovattato e accogliente, La tomba delle lucciole (inizialmente distribuito con il titolo Una tomba per le lucciole) copre i sogni dell'infanzia sotto una terra arida. Nel settantesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, il capolavoro diretto da Takahata arriva per la prima volta nei cinema italiani con una nuova edizione italiana, curata attraverso un adattamento e un doppiaggio inediti, differenti rispetto all'edizione home video distribuita in Italia. Nel corso dell'ultima Lucca Comics & Games 2015, abbiamo avuto la possibilità di intervistare il direttore di doppiaggio, Gualtiero Cannarsi, ancora una volta alle prese con un'opera dello Studio Ghibli da riscrivere per il pubblico italiano. In attesa dell'uscita cinematografica della nuova versione, prevista per il 10 e l'11 novembre, abbiamo analizzato un lavoro complesso e delicato che intende tradire il meno possibile la versione originale e mantenere una coerenza linguistica con una storia cruda e diretta. Un film che, in quel lontano 1988, venne presentato con una frase emblematica: "A 4 e 14 anni, pensarono di provare a vivere". Ecco come poche parole servono a raccontare tutto, in modo essenziale e spietato.
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Fedeltà radicale
Vero e proprio responsabile artistico delle opere targate Studio Ghibli per il mercato nostrano, Gualtiero Cannarsi ha dedicato la maggior parte del suo lavoro di dialoghista e localizzatore agli anime orientali, destreggiandosi tra le opere del più celebre studio nipponico a partire dal 2005, ovvero con l'uscita de Il castello errante di Howl. Il suo è un mestiere che vive di compromessi ed equilibri labili, in cui "scegliere" significa quasi sempre "dividere". Perché la traduzione implica il tradimento. Non a caso, una volta finita la proiezione de La tomba delle lucciole, lacrime annesse, in sala si apre un fitto dibattito durante il quale Cannarsi motiva una serie di scelte inserite nel suo adattamento. Secondo il direttore del doppiaggio, alcune opere d'animazione giapponese come quella di Takahata sono pensate per il pubblico giapponese, vogliono ricordare la storia giapponese e, per questo, vanno modificate il meno possibile. A costo di risultare ostiche e talvolta respingenti per un pubblico straniero. Una scelta coraggiosa, in parte azzardata, che non vuole accomodarsi in un "doppiaggese standard", una lingua autoreferenziale che esiste solo nei nostri adattamenti. Un'immediatezza realistica composta da termini arcaici e strutture sintattiche per noi insolite, in parte coerenti con il taglio crudo e per niente edulcorato del film stesso. Da parte di Cannarsi emerge il rispetto di una scuola di pensiero che incita il pubblico ad avvicinarsi all'opera, a sforzarsi per entrarvi in empatia, senza che avvenga il movimento opposto, con il film che si apre verso la platea attraverso scorciatoie poco rispettose della vera natura dell'anime. Per chi scrive, resta una scelta con una sua visione di fondo chiara e rispettabile, ma forse troppo avvezza ad una fruizione di nicchia con un linguaggio straniante che potrebbe compromettere il coinvolgimento emotivo di chi guarda. Anche perché La tomba delle lucciole non va solo ascoltato, va "sentito".