Park Chan-Wook è forse il regista più noto della vitale cinematografia coreana, grazie al successo della sua trilogia della vendetta, il cui secondo capitolo, lo strepitoso Old Boy, proprio qui a Cannes conquistò la giuria (e soprattutto l'allora presidente Quentin Tarantino) e la critica di tutto il mondo. Nonostante questo il suo penultimo film, I'm a Cyborg But That's Okay, era passato un po' inosservato a Berlino due anni or son addirittura faticando a trovare una distribuzione in diversi paesi, come Stati Uniti e Italia.
Le cose dovrebbero essere ben diverse ora, come rivela la recensione di Thirst, primo film coreano mai finanziato da una major statunitense ovvero la Universal, che riporta nuovamente in auge, e sulla Croisette, il regista Park con un soggetto particolarmente intrigante: la storia di Sang-hyun, un prete cattolico che a causa di una trasfusione diventa un vampiro.
La trappola del sangue
Park di prigioni se ne intende (come dimenticare la cella di Old Boy, il carcere di Lady Vendetta e anche il manicomio di I'm a Cyborg), e in fondo questo suo nuovo personaggio altro non è che un prigioniero del suo nuovo 'io', intrappolato tra la necessità di procurarsi del sangue (la 'sete' del titolo) e quella di non trasgredire i comandamenti del proprio Dio. Le cose si faranno molto più complicate nel momento in cui nella sua vita si farà avanti Tae-ju, la bella ma insoddisfatta moglie di un suo amico d'infanzia, aggiungendo così ulteriori tentazioni al già difficile cammino del prete.
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Pregi e difetti di un film altalenante
In realtà Thirst non parte benissimo, anzi sembra accusare la mancanza di una direzione ben precisa, ma cambia decisamente passo nel momento in cui entra in scena, inizialmente un po' in disparte fino a diventare a tutti gli effetti co-protagonista in tutta la seconda metà, la bella Tae-ju, un personaggio dalle mille sfumature interpretato in modo perfetto dalla giovane Kim Ok-Bin, ex reginetta di bellezza finora relegata a qualche ruolo minore sia su grande schermo che in tv e in cui nessuno sembrava credere particolarmente. Ed invece la scommessa di Park Chan-wook non solo è pienamente vinta ma probabilmente fa anche la vera fortuna del film perchè l'interpretazione di Kim, che sa essere sexy e fragile ma anche spaventosa e morbosa, è di quelle che illuminano lo schermo finendo in alcuni momenti con l'oscurare la prova, comunque buona, di un certo Song Kang-ho, attore feticcio del regista e vera superstar, universalmente considerato il più grande attore coreano delle ultime generazioni.
Il regista ha definito questo Thirst come uno "scandaloso melodramma vampiresco" ed in effetti la sua è una definizione alquanto calzante visto che oltre a trattare, seppur in modo ironico ed originale, il tema sempre attuale dei vampiri è anche e soprattutto una storia d'amore passionale e maledetta, scandalosa per il rapporto tra un prete e un'adultera ma anche per le incandescenti scene che mischiano sangue e sesso. A questo si deve aggiungere una forte carica di umorismo nero ed una mezz'ora finale di grande tensione emotiva che si conclude con un'ironica e malinconica scenetta quasi da cinema muto che ci ricorda nuovamente i tanti pregi di un regista pronto a tornare sulla ribalta.
Movieplayer.it
4.0/5