Ci sono occasioni in cui arriviamo a scrivere il nostro parere su un film e una serie con un pizzico di rammarico, perché avremmo voluto che il nostro giudizio fosse migliore di quello che ci accingiamo a esprimere. Succede ora, scrivendo la recensione de La serie di Cuphead!, la serie animata Netflix che adatta il popolare videogioco disponibile sulle principali console: vorremmo gridare al capolavoro, raccontarvi di qualcosa di straordinario, ma dobbiamo fare i conti con un pizzico di delusione che non ci permette di promuovere questo adattamento a pieni voti. Si tratta in ogni caso di una serie con molti pregi e motivi di interesse, e il voto che vedete a fine pagina rispecchia tutto questo, ma non riusciamo a scrollarci di dosso la sensazione che si sia persa l'occasione di fare qualcosa di memorabile.
Un adattamento difficile, come il gioco
Prima di addentrarci nel vivo della serie Netflix, facciamo un passo indietro per riassumere cos'è Cuphead e di che stiamo parlando: si tratta di un videogioco lanciato nel 2017 da StudioMDHR su PC e Xbox One, e negli anni successivi anche su Mac, Switch e PS4, in cui il giocatore ha il controllo di uno dei due fratelli tazzina, Cuphead o Mugman, impegnati a sconfiggere una serie di boss per ripagare il proprio debito con il diavolo e salvare le proprie anime. Si tratta di un gioco che è di base un run 'n' gun, una categoria di sparatutto che vede il protagonista appiedato con conseguenti aggiunte di elementi platform, ed ha quindi una componente narrativa che fa da contorno all'azione vera e propria.
È probabilmente la principale difficoltà che ha dovuto affrontare lo showrunner Dave Wasson nel convogliare le potenzialità del gioco nei dodici episodi della serie, ovvero il costruire un racconto organico attorno a personaggi e ambientazioni di Cuphead. Una difficoltà resa ancor più elevata dal formato scelto, che è di una quindicina di minuti a episodio, titoli compresi, che porta alla creazioni di situazioni piuttosto che storie più articolate. Insomma per Wasson deve esser stata una sfida pari a quella vissuta dai giocatori del gioco, da tanti ritenuto di elevata difficoltà.
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Benvenuti sull'Isola Calamaio
La serie, come il gioco, ci porta sull'Isola Calamaio e in compagnia dei fratelli Cuphead e Mugman, diversi tra loro per essere uno spericolato e l'altro più cauto. Si parte da un primo episodio intitolato Il Cattivale che riprende l'argomento base del videogame con una visita a un parco divertimenti che è solo una copertura di Satanasso per impossessarsi delle anime dei visitatori (nel gioco è un Casinò ad avere questa funzione), ma lo spunto narrativo resta poi in sottofondo mentre di episodio in episodio assistiamo alle disavventure dei due protagonisti e degli altri pittoreschi abitanti dell'isola, da Nonno Bricco a Ms Chalice e Re Dado.
Varietà di situazioni, umorismo molto diretto
Alla visita al Luna Park segue un bizzarro e distruttivo bebè lasciato sulla soglia di casa Bricco, per poi passare la ricerca di un po' di gelato nel club di due campioni di boxe, l'affrontare il problema del manico rotto di Mugman, il primo gioco a premi dell'Isola Calamaio o disavventure nel prezioso orto di Nonno Bricco, tra momenti più divertenti e coinvolgenti (pensiamo per esempio al sesto episodio I fantasmi non esistono) e altri meno riusciti. Un andamento altalenante che risente anche di una rimodulazione del tono che potesse rendere la serie appetibile a un pubblico più ampio e che almeno in parte è figlio del formato scelto, che si basa su un certo tipo di situazioni e dinamiche da sketch animato vecchio stile, con situazioni coerenti con l'operazione nel suo insieme e i vincoli del materiale di partenza, ma che risultano frammentari, ripetitivi e a tratti fini a se stessi.
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Un sentito omaggio al mezzo animato (e al gioco)
La serie di Cuphead! è infatti un sentito omaggio ai un certo tipo di animazione vecchio stile, quella dei cartoni animati americani degli anni '30, da Max e Dave Fleischer a una parte di produzione di Walt Disney e Ub Iwerks. Un omaggio ereditato dal gioco stesso, che partiva da questa medesima cifra artistica, accompagnando l'azione con musica di stampo jazz adeguata alla sua ispirazione visiva. Un omaggio all'animazione come mezzo espressivo che nella serie Netflix appare ancora più esplicito, complice la natura del media in cui viene veicolato e un comparto tecnico splendido.
È in questo omaggio che la serie acquista il suo senso più compiuto e travolgente, nell'evocare e riprodurre un certo mondo artistico per il pubblico di oggi. Peccato non aver accompagnato l'operazione con trovate e situazioni di qualità più omogenea, matura e sempre all'altezza dell'impianto visivo messo in piedi. Ma non abbandoniamo la speranza che potrà esserci modo di aggiustare il tiro in vista delle due prossime stagioni già ordinate da Netflix.
Conclusioni
L'abbiamo spiegato nella nostra recensione de La serie di Cuphead e lo ribadiamo in chiusura: non sono pochi i motivi di interesse per l'adattamento targato Netflix del popolare videogioco, a cominciare dal comparto artistico e visivo che omaggia l'animazione come mezzo espressivo, ma resta un pizzico di delusione per una componente narrativa che risulta frammentaria e a tratti ripetitiva. Questo non fa affatto di Cuphead una brutta serie, ma lascia col rammarico per quello che sarebbe potuto essere. Forse è solo colpa di Arcane, che ci aveva abituati troppo bene!
Perché ci piace
- Tutto il comparto visivo, sia dal punto di vista delle scelte artistiche che da quello meramente tecnico.
- L'omaggio al media animato, ereditato dal gioco e portato avanti in modo compiuto.
- Le voci originali, capaci di caratterizzare i relativi personaggi della storia.
- La ricchezza dell'Isola Calamaio, con tutte le sue figure e la ricchezza di situazioni...
Cosa non va
- ... ingabbiata però in una struttura narrativa frammentaria e a tratti ripetitiva.