La Ruggine di Daniele Gaglianone a Venezia

Il nostro incontro col talentuoso regista di Pietro e con il suo 'orco' Filippo Timi, incarnazione del male assoluto che turba l'infanzia serena dei piccoli protagonisti di Ruggine.

L'orco cattivo, quello delle fiabe, non è sempre brutto e sporco. A volte può vestire i rispettabili panni di un dottore elegante e colto che guida un'auto di grossa cilindrata e intimidisce gli immigrati del Sud che gli portano i propri bambini da visitare con la sua voce cavernosa. La voce di Filippo Timi, uno degli interpreti più richiesti del panorama italiano che stavolta si affida all'estro di Daniele Gaglianone interpretando il personaggio chiave di Ruggine, l'inquietante dottor Boldrini. Il film, prodotto da Domenico Procacci e Gianluca Arcopinto, è una fiaba nera immersa nel mondo di un gruppo di bambini che vivono nella periferia popolare di Torino, la cui infanzia serena viene turbata dall'arrivo di un pedofilo omicida. Al cast di piccoli interpreti e a Timi si aggiungono i tre protagonisti della storia, divenuti adulti, interpretati da Stefano Accorsi, Valeria Solarino e Valerio Mastandrea. Daniele Gaglianone eFilippo Timi incontrano la stampa per parlare della genesi del film.

Daniele, perchè hai deciso di adattare proprio il romanzo di Stefano Massaron?
Daniele Gaglianone: I motivi che mi hanno spinto sono principalmente due. Quando ho letto il libro mi sono ritrovato in un'ambientazione che conoscevo bene. Anche io da piccolo mi sono trasferito al Nord e sono particolarmente legato ai temi dell'infanzia. I protagonisti del romanzo sono dei ragazzini che vivono un'esperienza incredibile. Per me non è stato difficile dar loro un volto. L'altro aspetto del romanzo che mi ha convinto a lavorarci su è la figura del dottor Boldrini. Il libro non parla solo di pedofilia, ma il personaggio del dottore rappresenta il male assoluto, irrazionale, l'orco delle fiabe. Quella che i ragazzini del film intraprendono è una lotta contro il male, è la più classica delle storie di formazione.

La violenza presente nel film però è sempre controllata. Hai fatto la scelta di non far mai vedere cosa accade in realtà.
Daniele Gaglianone: Si, ho fatto questa scelta prima di tutto perché la trovavo più interessante dal punto di vista creativo. Volevo che lo spettatore avesse la libertà di colmare le lacune con la propria fantasia, dando il proprio contributo alla storia. Ma poi far vedere le violenze, in questo caso rischiava di essere paradossalmente rassicurante, di affievolire l'inquietudine e la tensione. Io non prendo questa responsabilità, ma la lascio al pubblico. Ho fatto una scelta registica precisa, quella di raccontare la storia dal punto di vista dei bambini anche quando loro non sono presenti. C'è una scena molto significativa al riguardo, quella in cui i bambini guardano dalla collina il mostro che, ai loro occhi, sembra agitarsi in modo inspiegabile. Subito vediamo la stessa scena dal punto di vista di Boldrini. Le sue azioni e i suoi gesti, in realtà, sono precisi perché sappiamo che cosa ha in mente, ma anche in questo caso è presente quell'atmosfera da fiaba nera che lo accompagna.

Il dottore è una figura sempre sopra le righe, a tratti irrealistica. Come avete lavorato per costruire questo personaggio?
Daniele Gaglianone: Fin dal primo momento non ho mai voluto creare false piste. Questo film non è un giallo, nessuno deve indovinare il colpevole. Fin dall'inizio è chiaro che il personaggio di Filippo è il pedofilo, ma Ruggine è anche un film sul potere. Abbiamo lavorato in due direzioni, una implosiva, perché il dottor Boldrini è sempre estremamente controllato, e una esplosiva. Anche nel secondo caso, però, si tratta di esplosioni controllate, tra il grottesco e il demoniaco. Questi due aspetti rappresentano in realtà due facce della stessa medaglia.
Filippo Timi: Quando sento parlare di esagerazione o di recitazione sopra le righe mi infastidisco. Il personaggio che ho creato insieme a Daniele non è una figura realistica. Il male che fa, ovviamente, lo è e non è in alcun modo giustificabile, ma il film ha il respiro di una favola nera. Respiro anche nel senso letterale del termine perché il lavoro fatto sull'audio e sulla mia voce è stato molto lungo. Parlare della creazione di Boldrini sarebbe troppo complicato, io ho seguito le indicazioni di Daniele e poi ho portato del mio. Tutto ciò che ho messo in questa figura è stato necessario serve a lasciarne trapelare la negatività. Anche la fotografia e le musiche contribuiscono a creare questa dimensione fiabesca a tinte forti perché Boldrini è il male assoluto.

Il film è ricco di riferimenti alla letteratura inglese. Il personaggio di Valeria Solarino legge Cime tempestose e un certo punto c'è un monologo di Filippo Timi che sembra mutuato da Shakespeare. Perché questa scelta?
Daniele Gaglianone: La scelta di far leggere a Valeria Cime tempestose è del tutto casuale. Abbiamo girato la scena dello scrutinio in una vera biblioteca e mi serviva un libro da darle, allora ho guardato cosa c'era. Ero indeciso tra Cime tempestose e Tolstoji, ma alla fine ho optato per il primo, ma avrebbe potuto essere anche un altro libro. Però l'idea di questo romanzo mi piaceva perché si parla di una storia d'amore tormentata che nasce quando i due protagonisti sono bambini. Il fatto poi che il personaggio di Stefano Accorsi faccia il traduttore è un omaggio a Stefano Massaron, anche lui traduttore.

Quale è il significato dell'enigmatica scena contenuta nei titoli di coda?
Daniele Gaglianone: Ho voluto ambientare l'ultima scena in metropolitana perché mi serviva un ambiente concreto, usuale e realistico che però, allo stesso tempo, si apre fino a diventare altro. Non sappiamo se i tre protagonisti del film, una volta adulti, si incontrino realmente, ma volevo evocare anche questa possibilità ponendoli in un tempo sospeso tra la realtà e il sogno.