Recensione La giocatrice della Peonia Scarlatta: una partita di hanafuda (1969)

I piani sequenza e le particolari inquadrature da angolazioni basse immergono lo spettatore in una galleria di volti e profili psicologici perfettamente delineati.

La regina degli yakuza eiga

Parlando di cinema sulla yakuza viene spontaneo pensare a racconti costruiti interamente attorno personaggi maschili, e nella maggior parte dei casi questa ne è senza dubbio una prerogativa. Ma in questo film il regista Tai Kato ritrae invece le gesta di un'eroina femminile (come avverrà qualche anno più tardi nella più famosa serie di Lady Snowblood); Oryu, meglio conosciuta come la Peonia Scarlatta per il suo tatuaggio, è una giocatrice d'azzardo errante in visita alla casa da gioco di Nishinomaru. Qui si troverà coinvolta in uno scontro tra bande dopo aver aiutato una coppia di giovani a fuggire per coronare il loro amore.

La protagonista Junko Fuji, figlia di un noto produttore della Toei, divenne una vera icona del genere proprio grazie all'atipico ruolo vestito in questo e gli altri film della serie. La giocatrice della Peonia Scarlatta: una partita di hanafuda è infatti il terzo capitolo della serie sulla Peonia Scarlatta iniziata da Kosaku Yamashita nel 1968 con Red Peony Gambler. Queste pellicole, otto in totale, segnano un passaggio essenziale nella storia del cinema giapponese: in effetti non è del tutto corretto parlare semplicemente di yakuza eiga, accezione generica del filone; il cinema di Kinji Fukasaku, per esempio, dominerà solo nel decennio successivo e con caratteristiche ben diverse rispetto a quelle riconoscibili in questo film e più in generale nel cinema di Tai Kato a cui dobbiamo invece alcuni dei film più significativi di un filone precedente, quello dei ninkyo eiga (film cavallereschi).

In La giocatrice della Peonia Scarlatta: una partita di hanafuda alla sequenza introduttiva segue la scena, tipica del genere, in cui la protagonista si presenta alla casa da gioco. Così lo schema narrativo segue i canoni dei film precedenti, ma è lo stile decisamente unico di Tai Kato a regalare al film un'impronta inconfondibile tra tradizione e soluzioni innovative. I piani sequenza e le particolari inquadrature da angolazioni basse immergono lo spettatore in una galleria di volti e profili psicologici perfettamente delineati, personaggi e conflitti appartenenti ad un mondo ancora saldamente basato su rigidi principi, quelli della tradizione e dell'onore esaltati proprio dal genere dei ninkyo eiga. E proprio in questo sta la differenza con le opere dei cineasti più giovani che seguiranno, tradizione e onore saranno principi sepolti da una chiave più marcatamente realistica e cinica del ritratto dello yakuza: gli jitsuroku eiga di cui è particolarmente emblematico un titolo come Lotta senza codice d'onore.