Passeri: dall’Islanda un coming of age profondo e delicato

Un viaggio realistico ma poco appassionante nella vita di un teenager islandese alle prese con l'abbandono, il lutto e la riconciliazione familiare.

Passeri: un'immagine del film
Passeri: un'immagine del film

Capita che tra un blockbuster americano e una commedia all'italiana, o presunta tale, talvolta si possa scegliere un film straniero poco atteso e chiacchierato, e succede anche che questo possa rivelarsi una bella sorpresa. È il caso di Passeri, un film islandese passato in rassegna due anni fa al Toronto Film Festival che oggi sbarca nelle nostre sale per avventurarsi in uno dei passaggi più complessi, e spesso tristi, della vita umana: l'adolescenza. Ari (Atli Oskar Fjalarsson) ha 16 anni, vive a Reykjavik ed è un talentuoso corista. La sua routine viene turbata dalla decisione di sua madre di trasferirsi in Uganda insieme al suo nuovo compagno.

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Questa scelta lo obbliga a trasferirsi nel piccolo paese di provincia dove vivono suo padre Gunnar (Ingvar Eggert Sigurðsson) e l'anziana nonna. Se il primo cura i propri fallimenti con l'alcool mentre critica aspramente le scelte della sua ex moglie e la sua illusione di cambiare il mondo, la seconda rappresenta l'unica fonte di calore materno in una realtà che per Ari si rivelerà subito difficile da accettare. Presto Gunnar e questo figlio teenager introverso e sensibile scopriranno di avere più di un pregio/difetto in comune. Entrambi subiscono il corso della vita, non reagiscono agli eventi e affidano ogni speranza di cambiamento ad una donna che sta per affrontare l'ultimo passaggio della sua esistenza.

Passeri: una scena del film
Passeri: una scena del film

Il torpore e l'inerzia

Passeri: un momento del film
Passeri: un momento del film

Passeri conferma il talento del regista Rúnar Rúnarsson (già autore di Eldfjall, film con cui l'Islanda scelse di farsi rappresentare agli Oscar nel 2011). L'islandese filma questa decadenza sociale con una camera fissa, conferendo alla sua regia quella stessa inerzia che domina la vita dei protagonisti del film. Questa scelta diventa funzionale quando evidenzia la bellezza e la spettralità del gelido paesaggio nord-islandese. Un po' meno quando tenta di stabilire una connessione emotiva con lo spettatore, specie se straniero come nel nostro caso. A tratti gli abitanti di questa cittadina sono talmente avvolti dal torpore da sembrare totalmente privi di emozioni. Un processo da cui non è esente Ari, nonostante il giovane tenda istintivamente a reagire con rabbia agli eventi dolorosi che si succedono nella sua vita. Sia i sentimenti di Ari che quelli del padre e il loro problematico rapporto sono oggetto di un attento studio di analisi da parte del regista, che riesce a rendere due personaggi potenzialmente ripugnanti capaci di sincera empatia.

Il grande assente: il sole

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Anche in un panorama quasi completamente caratterizzato dal grigiore come questo si sente la mancanza del sole che impedisce la chiara scansione di un ritmo temporale. L'inquietudine adolescenziale e i limiti territoriali vengono evidenziati da un esasperato naturalismo stilistico e da una lentezza quasi glaciale che rientra perfettamente negli schemi di rigida eleganza formale del regista. Per quanto questo stile possa apparire a noi lontano, culturalmente prima ancora che geograficamente, anche i nostri registi hanno spesso ceduto al fascino delle ambientazioni nordiche. Di recente ne sono stati un esempio Cloro, opera prima di Lamberto Sanfelice, e Vergine giurata di Laura Bispuri con Alba Rohrwacher. Storie di formazione che attraverso immagini essenziali escono dai confini del nostro cinema per immergersi in atmosfere più misteriose e rarefatte. Alla definitiva perdita di innocenza di Ari e alla decisione che segnerà il passaggio alla età adulta verrà affidato l'impatto emotivo di un finale inatteso e denso di significati. Un'ambiguità morale e una sfida al grado di comprensione dello spettatore che vanno ad avvalorare lo spessore di un film che rivendica coraggiosamente la propria ambivalenza. Ovviamente sconsigliato a chi è alla ricerca di emozioni forti.

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Movieplayer.it

3.0/5