La forza dell'inespressività
Per quanto gli si possa voler bene, è difficile negare che Arnold Schwarzenegger non sia il massimo in termini di abilità attoriale. Vuoi per una certa mancanza di versatilità facciale, vuoi per quell'accento austriaco marcatissimo che oltre a rendere quasi tutte le sue battute involontariamente spassose gli creò non pochi problemi ad inizio carriera (per Conan il barbaro dovette impegnarsi a lungo per risultare comprensibile alle orecchie degli spettatori americani), l'ex-culturista divenuto superstar e poi governatore della California non ha mai veramente esplorato ruoli particolarmente complessi o generi cinematografici al di fuori dell'azione e della commedia (a differenza del collega-rivale Sylvester Stallone, lui sì capace di dare prove di un certo spessore).
Non che se ne sia mai veramente sentito il bisogno: il carisma di Schwarzenegger, abbinato ad un discreto talento comico, gli hanno quasi sempre permesso di compensare eventuali difetti di scrittura e/o caratterizzazione, fatta qualche eccezione come il ridicolo Mr. Freeze in Batman & Robin (e pensare che la parte, riscritta apposta per Arnold, era inizialmente stata pensata per Patrick Stewart). Consapevole dei propri limiti, l'uomo che fu Terminator (e lo sarà di nuovo tra un paio di settimane) non ha mai sentito la necessità di mettersi alla prova. Fino ad ora.
Padre e figlia
Contagious (Maggie in originale) è un film anomalo. È l'opera prima di un regista, Henry Hobson, che finora si è fatto notare realizzando i titoli di testa di pellicole come Una notte da leoni 2 e Rango. Parla di zombie, ma si distanzia anni luce dalle tendenze recenti del genere, che sia al cinema (L'alba dei morti viventi,World War Z) o in televisione (The Walking Dead, Z Nation, iZombie), escludendo i cromatismi tendenti al grigio che indicano l'ambientazione post-apocalittica e la barba di Wade Vogel (Schwarzenegger), che fa un po' Rick Grimes. Per il resto, si potrebbe quasi parlare di un'operazione bergmaniana, poiché la maggior parte del film è incentrata sulle interazioni fra Wade e la figlia Maggie (Abigail BreslinAbigail Breslin), con la partecipazione occasionale della signora Vogel, Caroline (Joely Richardson).
Maggie è stata contagiata da un virus detto "necroambulatorio", che la trasformerà gradualmente in zombie. Wade decide di portarla a casa per permetterle di passare con la famiglia i suoi ultimi giorni, fino al momento in cui dovrà essere o messa in quarantena o uccisa. Mentre padre e figlia rafforzano il loro rapporto, tutti si preparano per la fine, anche se Wade prova ribrezzo all'idea di dover uccidere in maniera disumana la sua bambina.
Impassibile vulnerabilità
Alla tenera età di sessantasette anni Schwarzenegger si riscopre come attore, capace di tenere testa alla sempre brava Abigail Breslin, abbandonando i suoi soliti istrionismi a favore di una grande prova di understatement. Accantonate le frasi ad effetto e le smorfie da duro, non gli resta che la calma dignità di un padre affettuoso, stoicamente rassegnato ma non per questo pronto a perdere sua figlia. Barbuto e per certi versi "invecchiato", l'ex-barbaro dà il meglio di sé in un ruolo che, a distanza di quasi vent'anni, dimostra che forse avrebbe potuto interpretare Mr. Freeze come si deve. Peccato che se ne accorgeranno in pochi, soprattutto in America dove, complice un'uscita simultanea al cinema e on demand (forse perché la LionsGate ha intuito quanto il pubblico fedele di Arnold fosse poco interessato a vederlo in un prodotto simile), Contagious è sparito dalla circolazione dopo appena due settimane (e meno di 200.000 dollari al box office). Merito della natura anomala del film, praticamente un dramma intimista e grigio con qualche tocco di genere, dalla telefonata iniziale di Maggie al padre fino all'epilogo tragicamente poetico.
Un vero peccato, perché il duo Schwarzenegger-Breslin è davvero forte dal punto di vista recitativo, e merita tutta la visibilità possibile, così come il talento registico di Hobson, capace di giocare sull'atmosfera lugubre e sugli effetti speciali senza mai perdere di vista l'anima umana del racconto. Grazie a lui ed al suo tocco epicamente indie il divo austriaco, messo a nudo per la prima volta in termini di performance, riesce a ripetere di nuovo il miracolo che avvenne nel 1991, alla fine di Terminator 2 - il giorno del giudizio: farci piangere. In senso positivo, ovviamente.
Movieplayer.it
4.0/5