Un cognome bugiardo. La carta d'identità che mente sullo spirito inquieto di un ragazzo impulsivo. Affamato di vita, successi ed eccessi, il pugile Vinny Pazienza non è affatto calmo e responsabile, ma un animo ingordo che vuole tutto e a nulla rinuncia. Nonostante i chili da tenere sotto controllo, The Pazmanian Devil si sbilancia spesso tra fidanzate vistose, ruote di pizza e tavoli verdi al casinò. Di pazienza, Vinny, non ne ha nemmeno sul ring, perché per lui lottare significa sprecarsi senza controllo, sfogarsi con l'irruenza dei temerari. Così, dopo ganci e fendenti, ecco altri pugni del tutto superflui, sfogati sul suo petto o tra i suoi stessi guantoni, utili solo a far echeggiare il tonfo del suo corpo. Indispensabile per gridare al mondo la sua esistenza.
Poi, proprio quando ogni cosa sembra illuminata da una pioggia di fiches e da cinture dorate, il Caso crea il caos, e la disgrazia irrompe nella sua vita felice senza chiedere permesso: un grave incidente in auto rompe il collo di Vinny per spezzarne ogni futura speranza di gloria. O forse no. Perché l'animo di Pazienza è un vulcano indomabile, e l'animo è qualcosa che non può conoscere fratture, che non si piega, né si spezza.
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La pazienza di Vinny
"Non è saggio, ma è da lui". I telecronisti commentano così le gesta di Pazienza sul ring, con una frase capace di coglierne il carattere. Lo stesso merito va riconosciuto a Ben Younger, a cui bastano pochissime scene per delineare con cura il personaggio e far sedere lo spettatore al suo angolo. Grazie ad una costante attenzione per i dettagli, tra anelli d'oro, scarpe in vernice, occhiali da sole firmati, capiamo presto che il mondo di Pazienza è abitato da persone arricchite, abituate a fare vanto del proprio successo raggiunto a fatica e, per questo esibito. Allenatori, manager, persino suo padre sembra appena uscito da una fiera del kitsch. Ma sotto questa patina di tracotanza c'è del cuore, un cuore che batte tra le mura domestiche di casa Pazienza. Memore, forse, di The Fighter, Younger invita madri, sorelle e cognati ad abbracciare il pugile per costruirgli attorno a un ring familiare dove si giocano incontri altrettanto decisivi: consigli, litigi a fin di bene, appoggio incondizionato.
Scomponendo la figura di Vinny nello sportivo, nel figlio e nll'allievo, Bleed for This - Vivo per combattere ondeggia tra palcoscenici pubblici e stanze private per poi costruire l'immagine solida di un uomo la cui impresa è incredibile e memorabile. Il film di Younger ha meno coraggio del suo pugile, cerca guizzi adrenalinici alla Martin Scorsese (che produce) e segue il ritmo di David O. Russell, per poi scoprirsi molto classico, sia nello stile che nella tipica scansione narrativa dei film sportivi americani. Questo, però, non deve giocare a suo sfavore. Bleed For This coinvolge, emoziona , persino diverte con un'ironia prima parlata, tagliente e poi più silenziosa. L'ironia dolente di chi accetta le proprie sventure e schernisce il male prendendosi in giro, lottando le sue battaglie lontano dai ring illuminati, dentro cantine buie dove scovare forze che non si trovano nei muscoli.
Sudore e sangue
Ad un certo punto, in Bleed For This, si avverte il rumore stridente di un gong inaspettato. Da lì in avanti, un po' come succede in Million Dollar Baby e nelle vite vere, qualcosa cambia e si spezza. Da quel momento in poi, infatti, il round decisivo si gioca tutto negli occhi fermi e nel corpo martoriato di un grande Miles Teller, talento destinato alla sofferenza cinematografica. Dopo il sangue e il sudore versati sugli spartiti dell'ossessivo Whiplash, l'attore ritorna a penare, a dimenarsi, a spremersi oltre ogni umana sopportazione per raggiungere i suoi scopi. E mentre Younger è bravissimo a farci temere per ogni suo minimo spostamento, ogni centimetro che separa le staffe metalliche fissate nella sua fronte da un bilanciere, Teller cerca con tutte le forze di combattere la menomazione, ma soprattutto di snaturare il suo viso gentile, molto diverso da quello più rozzo e segnato del vero Pazienza. Ad aiutarlo nell'impresa c'è un mentore di poche ma buone parole, un Aaron Eckhart imbolsito che insegna a Vinny la sottile differenza tra la consapevolezza del rischio e la vertigine della scommessa. Younger, al di là di qualche guizzo finale dove il montaggio e il sonoro diventano notevoli per qualche attimo, preferisce non azzardare. Ecco perché Bleed For This, pur non entrando nei pesi massimi del cinema, vince il suo round lungo due ore, colpendo lo spettatore dove deve, dove serve: un po' nel cuore, un po' in testa.
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Movieplayer.it
3.5/5