A qualche mese dal cine-comic tutto italiano di Gabriele Salvatores, Il ragazzo invisibile, un altro regista, lontano anni luce dallo stile cinematografico del Premio Oscar ma non per questo meno interessante e degno di nota, decide di raccontare il disagio giovanile contemporaneo attraverso la "tematica" l'invisibilità.
Pietro Reggiani scrive e dirige La dolce arte di esistere a otto anni dal suo personale capolavoro L'estate di mio figlio, consegnando al pubblico un lungometraggio borderline tra favola e dramma dove la magia e la realtà si incontrano in una storia d'amore surreale ma verissima.
Una voice over invadente
Massimo (Pierpaolo Spollon) fin da bambino è stato seguito ossessivamente dai genitori e di conseguenza scompare ogni volta che sente anche minime attenzioni su di sé; Roberta (Francesca Golia) è da sempre ignorata dalla madre e dal padre (Anita Kravos e Pietro Bontempo) che, con la scusante sempreverde di volerla lasciare libera, l'hanno semplicemente abbandonata a se stessa; di conseguenza, Roberta scompare ogni qual volta qualcuno non le dà le giuste attenzioni. Sembra quasi il plot di una favola, la descrizione di due personaggi magici quella dei protagonisti di La dolce arte di esistere e invece Massimo e Roberta vivono in un "mondo" dove l'invisibilità psicosomatica è un male comune. L'incontro di queste due anime, molto spesso trasparenti, è gestita da Reggiani con uno stile che è un (non sempre piacevole) mix tra documentario e fiction autoriale. Il lato documentaristico del lungometraggio è forte di una voice over (Carlo Valli) che narra la nascita di questa patologia con estrema minuzia dando al film una venatura "docu-parodistica" che a un certo punto stanca lo spettatore specialmente per l'onnipresenza di uno "spiegone" perpetuo e affatto necessario.
Un'intuizione da corto
Il plot di Reggiani è assolutamente interessante, la sua intuizione dell'invisibile come metafora di uno stato d'animo proprio della gioventù di oggi figlio principalmente dell'eccessiva e ossessiva presenza o assenza dei genitori, pur non vincendo per originalità, vince in nome della resa sperimentale che il regista costruisce attorno all'"eureka". Eppure c'è qualcosa che non torna sia nella lentezza che nell'eccessiva lunghezza della nuova fatica di Pietro Reggiani che in molti punti si disperde in inutilità narrative o in eccessivi sentimentalismi giusto per dare ossigeno a momenti che altrimenti sarebbero stati morti o da tagliare via in fase di montaggio. Eppure, forse, sarebbe stato meglio tenere il meglio e dare alla luce un cortometraggio eccellente che lasciare il tutto e portare su grande schermo un film poco non del tutto convincente come, purtroppo, è La dolce arte di esistere.
Movieplayer.it
2.5/5