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Prendete sei persone di idee, religione e cultura diverse, mettetele insieme in una stanza alla vigilia del Natale, in mezzo fateci finire un bambino musulmano, Samir, colpevole di aver lanciato un sasso contro la finestra della scuola e di aver colpito i due malcapitati bidelli. Nell'ultimo film di Rolando Ravello, La prima pietra, ci sono tutti gli elementi per un cortocircuito che neanche una recita scolastica, simbolo di inclusione e fratellanza, sarà capace di scongiurare. Quasi quattro anni dopo Ti ricordi me?, immediatamente successivo al film d'esordio Tutti contro tutti Ravello torna alla regia con una storia corale, scritta insieme a Stefano Di Santi sulla base di un testo teatrale di Stefano Massini.
La colpa, scherza il regista, è di Domenico Procacci, lo stesso con cui firmò il proprio debutto dietro la macchina da presa: "Fu lui a chiamarmi e a propormi il soggetto. La prima pietra è per me la naturale evoluzione di Tutti contro tutti. È un film di Natale 2.0 cattivo e acido ed è stata fino a ora la sfida più difficile della mia vita per riuscire a rimanere neutri senza favorire l'uno o l'altro personaggio, perché alla fine capisci tutti, vuoi bene a tutti e dai a tutti torto o ragione. Rendere cinematografico questo testo non è stato per niente facile".
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Una commedia sull'integrazione
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Una commedia intelligente e spietata su un'integrazione invocata, auspicata e dibattuta, ma mai come in questo momento così lontana e improbabile. Ne La prima pietra il sogno di una società multietnica e inclusiva diventa un'utopia e si infrange contro le ragioni surreali di ciascuno dei protagonisti rinchiusi nell'ufficio di presidenza a discutere di chi sia la colpa e di chi alla fine debba pagare per quel vetro rotto.
I contendenti hanno i volti di Valerio Aprea, Iaia Forte, Lucia Mascino, Kasia Smutniak, Serra Yilmaz e Corrado Guzzanti, il preside della scuola, l'ultimo di una galleria di personaggi estroversi e surreali che il comico romano ci descrive così: "Il preside che interpreto è solo apparentemente l'anima di una scuola multiculturale, in realtà dei bambini interessa poco a tutti, sono vittime e pretesto. È un frustrato tremendo il cui unico piacere nella vita è fare una recita di Natale nella quale sogna di risplendere come un grande regista. Il personaggio aveva una sua back story, che poi però non ha visto la luce".
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Quando le ragioni di ognuno si scontrano senza nessuna volontà di mediazione, la collisione è inevitabile e quel microcosmo acquista i contorni della contemporaneità assumendo i toni di una critica sociale: "C'è un livello superficiale dell'accettazione che pensa sia sufficiente eliminare dei simboli per far funzionare l'inclusione, ma manca un reale e profondo lavoro culturale di integrazione che vada oltre i simboli religiosi e che forse farà la generazione di bambini di questo film", commenta Guzzanti.
"Tutti ci muoviamo e ci crogioliamo sul terreno della paura, ma paura di cosa? Di chi? I bambini non hanno questi problemi, siamo noi adulti a farceli, mentre la politica ci rimanda esempi sbagliati e usa termini sbagliati anche quando deve comunicare cose giuste. Basta con la paura, dovremmo eliminarla e non parlare più di convivenza, ma di condivisione. È quello che non siamo più abituati a fare, a differenza dei bambini che invece sono strafelici di condividere", gli fa eco Ravello.
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Italioti vs stranieri
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Il diverso che il nostro mondo non è più in grado di accogliere ha qui le sembianze di Kasia Smutniak e Serra Yılmaz, rispettivamente madre e nonna del piccolo Samir, donne risolute e forti, le uniche preoccupate realmente di capire il perché di quell'incidente. "Certo, sono due donne assai fanatiche, pure e dure, ma c'è una preoccupazione per il bambino che gli altri non dimostrano di avere", spiega Yilmaz.
"Rappresento una donna nata e cresciuta in Italia, completamente integrata, ma che nella percezione altrui rimarrà sempre straniera - racconta la Smutniak - Il mio personaggio e quello di Serra si scontreranno con una serie di stereotipi e pregiudizi, anche se le loro motivazioni sono le più normali al mondo: quelle di una madre e una nonna preoccupate per il proprio figlio e nipote. Una preoccupazione che però passa in secondo piano rispetto al loro velo".
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Il ruolo dell'italiano medio gretto, ignorante e intollerante spetta invece alla coppia formata da Valerio Aprea e Iaia Forte: "Rappresentiamo dei gretti italioti. Nel film le due donne musulmane ci trattano come dementi e probabilmente hanno ragione, siamo noi i retrogradi". Non la pensa diversamente la sua compagna di set: "La scuola è un microcosmo di ciò che accade nel paese e mi piace l'idea che sia una commedia cattiva, non buonista. Il film è un manifesto su come non considerare la diversità un valore sia pericoloso nel trasmettere poi alle nuove generazioni un esempio di civiltà migliore".
Nessun colpevole e tutti colpevoli: "Chi ha innescato questo sistema? - conclude Ravello - Chi ha tirato quella prima pietra? Nessuno si salva, e allora forse non ci sono colpevoli, perché alla fine lo siamo un po' tutti".