"L'Italia è un Paese da distruggere. Un posto bello e inutile, destinato a morire". Una frase pronunciata da un professore universitario con il volto del sassofonista jazz Mario Schiano ne La meglio gioventù. La sequenza era ambientata nella Roma del 1966. Ma il film - o serie? - diretto da Marco Tullio Giordana, scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli e prodotto da Angelo Barbagallo, uscì nel 2003. Parole tristemente premonitrici all'epoca, drammaticamente vere oggi.
Una lunghezza inedita e anticipatrice
Sei ore e quattordici minuti presentati a Cannes nella sezione Un Certain Regard - dove vinse il premio come miglior film - dopo che la Rai quel racconto fiume se l'era tenuto nel cassetto per un anno. Chissà, forse spaventata proprio dalla sua lunghezza. Perché oggi forse non ce ne rendiamo nemmeno bene conto, ma vent'anni fa un film pensato per il piccolo schermo di oltre sei ore era un unicum. Un oggetto da maneggiare con cautela. Ironia della sorte fu proprio Thierry Frémaux e il suo festival di Cannes - che anni dopo avrebbe storto il naso contro le piattaforme - a dare il via all'incredibile successo de La meglio gioventù, ora disponibile in streaming su Netflix.
Un passaggio in sala in due parti con ottimi risultati al botteghino, la messa in onda su Rai Uno in prima serata - era il 7 dicembre del 2003 -, sei David di Donatello e sette Nastri d'argento, giudizio della critica italiana ed estera unanime e tanto di reunion al cinema Troisi di Roma lo scorso novembre per una proiezione del film a vent'anni dall'uscita. Quella lunghezza così inedita non fu solo uno degli elementi che ne decretarono la riuscita - permise, inoltre, agli sceneggiatori e a Giordana di andare in profondità nel racconto e nella psicologia dei personaggi - ma fu anche uno dei primi esempi in Italia - se non il primo - di fusione tra cinema e serialità.
Molto prima di Esterno notte di Marco Bellocchio e delle sue cinque ore, c'è stata La meglio gioventù che ha preso il formato filmico e l'ha allungato diventando inconsapevolmente un vero e proprio antesignano.
Utopia, nostalgia e la storia italiana sullo sfondo
Con un titolo ispirato all'omonima raccolta di poesie pubblicata nel 1954 da Pier Paolo Pasolini e a un verso di una canzone della brigata alpina Julia impegnata, nel 1940, nella campagna di Grecia, La meglio gioventù ha racchiuso quasi quarant'anni di storia italiana, dal 1966 al 2003, grazie alle sorti della famiglia Carati. Un nucleo della piccola borghesia romana poi, in parte, trapiantata a Torino. La sceneggiatura di Petraglia e Rulli si concentra sui fratelli Matteo (Alessio Boni), studente di Lettere, e Nicola (Luigi Lo Cascio), studente di medicina. Due giovani ragazzi prima e due uomini poi diversissimi tra di loro, ma uniti da un amore profondo.
Matteo e Nicola, insieme ad un paio di amici, nell'estate del 1966 dovrebbero partire per un viaggio con destinazione Capo Nord. Ma l'incontro inaspettato con Giorgia (Jasmine Trinca), una giovane ragazza chiusa in un ospedale psichiatrico dove è sottoposta a elettroshock, cambierà le traiettorie della loro estate e della loro esistenza. Si rivedranno solo l'inverno successivo, a Firenze, colpita dall'alluvione che farà arrivare in città da tutto il mondo ragazzi passati alla storia come gli angeli del fango.
Già all'epoca le direzioni diverse dei due sono nette. Studente di medicina uno, membro dell'esercito l'altro. Sui binari paralleli delle loro vite, La meglio gioventù imbastisce un racconto intimo che s'intreccia con quello collettivo. Il racconto di una storia passata eppure non così lontana. Un periodo in cui l'utopia di riuscire a vivere un'esistenza diversa da quella dei propri genitori era palpabile.
Un'utopia intrisa di nostalgia per un presente che quelle promesse non ha saputo mantenerle fino in fondo. Anche questo è uno dei motivi per il quale il film ha saputo incontrare il favore di un pubblico ampio. Perché nella storia della famiglia Carati c'è anche un po' quella della nostra. Anche di chi quegli anni non li ha vissuti in prima persona, ma solo di riflesso attraverso i ricordi di chi c'era.
Il grande romanzo di Marco Tullio Giordana
Se è vero che La meglio gioventù ha saputo intercettare e anticipare un trend narrativo ampiamente adottato da piccolo schermo e piattaforme, è anche vero che quello di Marco Tullio Giordana non è solo un film. Forse definirlo romanzo filmico sarebbe più appropriato. Perché la sceneggiatura firmata da Sandro Petraglia e Stefano Rulli ha il sapore delle grandi opere narrative - e di suo La meglio gioventù è ricca di riferimenti a celebri libri - come Lessico familiare di Natalia Ginzburg o per avvicinarsi ai giorni nostri L'amica geniale di Elena Ferrante (che non a caso è diventato una serie di grande cinema).
A scandire il tempo del racconto le stagioni e i mesi che fanno da sfondo alle vicissitudini della famiglia Carati che, come qualsiasi altra, si confronta con amore, lutto, dolore, gioia. Ma la sfera più intima si "scontra" con alcuni dei grandi eventi che hanno plasmato il profilo dell'Italia. Dalla già citata alluvione di Firenze al '68 - tra contestazioni studentesche e anni di piombo -, dalla legge Basaglia che aboliva i manicomi alla cassa integrazione degli operai della Fiat, dai mondiali vinti nel 1982 alla strage di Capaci di dieci anni dopo. Tutti eventi che s'inseriscono nel tessuto narrativo e nelle vite dei personaggi, ma che lasciano anche che siano proprio loro a restare in primo piano.
Complice anche la regia di Marco Tullio Giordana che su quei volti e i loro sguardi posa tutta la sua attenzione e il suo amore. Non a caso a distanza di vent'anni è impossibile dimenticare lo sguardo della Giorgia di Jasmine Trinca in piedi davanti al jukebox mentre in sottofondo partono le note di A chi di Fausto Leali. Perché il film è anche la testimonianza del talento di un giovane gruppo di attori - oltre a Lo Cascio, Boni e Trinca impossibile non menzionare Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Maya Sansa e Valentina Carnelutti - che oggi fanno parte dei grandi interpreti del nostro cinema e televisione.
Un racconto rimasto intatto nella sua potenza
Tanto è cambiato da quel 1966. Eppure tanto, troppo, è rimasto lo stesso. Nel bene e nel male. Se c'è una nuova generazione di giovani che prova a cambiare le cose ogni giorno con impegno e attivismo come gli "angeli del fango" o gli studenti delle università occupate di quasi sessant'anni fa, è anche vero che la repressione, le manganellate, i rigurgiti fascisti, gli estremismi sono sempre più presenti nel nostro tessuto sociale. Forse alcune di queste realtà non se ne sono mai andate ed altre sono rimaste latenti fino a quando una politica globale sempre più orientata a destra non gli ha permesso di rialzare la testa e, con arroganza, riprendere spazio.
"Qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri", continuava nel suo discorso il professore universitario in una delle sequenze iniziali de La meglio gioventù. È una frase che non abbiamo mai smesso di ripetere. Nonostante il mondo di oggi sia diverso da quello della metà degli anni Sessanta o dei primi anni Duemila, la sensazione di impassibilità è rimasta la stessa. Nel film il futuro, la speranza, l'utopia erano nelle nelle mani dei giovani. Nicola e Matteo prima, Sara (Camilla Filippi) e Andrea (Riccardo Scamarcio) poi. Due generazioni con prospettive e possibilità maggiori di chi li aveva preceduti.
E a rivedere La meglio gioventù - sarà interessante scoprire anche come verrà accolto dagli utenti Netflix che magari non erano nati quando uscì in sala o venne trasmesso in tv - colpisce come quel racconto sia rimasto intatto nella sua potenza. Non ci sono ingenuità nel guardarlo con gli occhi di oggi, cittadini e spettatori di un tempo molto più cinico. Anzi, l'emozione e la commozione sono le stesse di allora. Come in una sorta di incantesimo.