Recensione L'amore in gioco (2005)

Una piacevole commedia romantica diretta dai fratelli Farrelly, che pur mantenendo inalterate le caratteristiche più "codificate" del genere, piazzano in alcune sequenze spruzzate del loro umorismo acido e politically uncorrect.

La febbre del 'diamante'

Ben Wrightman è un insegnante di liceo affascinante, intelligente, simpatico, che ha una passione divorante per la squadra di baseball dei Red Sox; Lindsey Meeks è una consulente aziendale ambiziosa, stakanovista, di successo. I due si incontrano, si piacciono, iniziano una storia che sembra andare subito per il verso giusto: ma Lindsey ha ancora nella mente le parole delle sue amiche, che le ripetono che "se uno a trent'anni è ancora 'sul mercato', un motivo ci dovrà pur essere", quando inizia la preparazione primaverile per il campionato di baseball, e i Red Sox irrompono come un fulmine a ciel sereno nella vita della coppia...

Per questa commedia romantica a sfondo sportivo, i fratelli Bobby Farrelly e Peter Farrelly hanno adattato un noto romanzo di Nick Hornby intitolato Febbre a 90° (che già aveva dato origine all'omonimo film datato 1997), spostando la storia negli Stati Uniti e sostituendo il baseball al calcio; un genere, questo della commedia romantica, inusuale per i fratelli Farrelly, che pur mantenendone inalterate le caratteristiche più "codificate" piazzano in alcune sequenze spruzzate del loro umorismo acido e politically uncorrect, che non mancherà certo di soddisfare i loro fans. Un'operazione, insomma, analoga a quella compiuta da Kevin Smith per il suo Jersey Girl, in cui i pur presenti "lacci" del genere non impedivano al regista di mostrare, in alcune sequenze, sprazzi del suo umorismo anticonformista e sopra le righe.

Seguendo diligentemente il copione che Lowell Ganz e Babaloo Mandel (sceneggiatori di molte commedie hollywoodiane recenti) hanno tratto dal libro di Hornby (qui anche produttore esecutivo), i due registi confezionano così un prodotto piacevole, che, pur non brillando per originalità o trovate registiche, mantiene quasi sempre alla base una credibilità di fondo che gli evita di cadere nella melassa di tante produzioni analoghe. A convincere è soprattutto la rappresentazione della figura del tifoso, resa in modo molto credibile dalla sceneggiatura: passionale, irrazionale, spudoratamente ed entusiasticamente infantile, il tifoso è consapevolmente divorato, durante l'evento-match, dalla sua totalizzante passione. Una figura a cui contribuisce anche l'adeguata interpretazione di Jimmy Fallon, a cui fa da contraltare una Drew Barrymore simpatica e all'occorrenza aggressiva quanto basta.

Un finale eccessivamente convenzionale non compromette, in fondo, la sostanziale riuscita di un film che rispetta le pur semplici premesse sulle quali era basato. Da segnalare anche il gustoso cameo (non accreditato) di Stephen King nel ruolo di se stesso, sicuramente uno dei più noti tifosi dei Red Sox a livello mondiale.

Movieplayer.it

3.0/5