Recensione La donna elettrica: la crociata ecologista di Halla

La recensione de La donna elettrica: il regista islandese Benedikt Erlingsson firma la sua opera seconda, una commedia dai tocchi surreali presentata a Cannes 2018.

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La donna elettrica: una scena del film

A ben cinque anni di distanza dal suo esordio, Storie di cavalli e di uomini, commedia stralunata e frammentaria che nel 2013 aveva riscosso una notevole attenzione da parte dalla critica ed era stata proposta dall'Islanda per l'Oscar come miglior film straniero, il regista e sceneggiatore Benedikt Erlingsson firma il suo secondo lungometraggio, La donna elettrica, che replica in buona parte l'approccio e lo stile già sfoderati nella sua opera di debutto.

Presentato al Festival di Cannes 2018 nella sezione Semaine de la critique, ricompensato dal Parlamento Europeo con il Lux Prize e selezionato per rappresentare l'Islanda ai prossimi Oscar, La donna elettrica (distribuito anche con il titolo internazionale Woman at War) rinuncia al carattere episodico del precedente film di Erlingsson in favore di un racconto più lineare, costruito interamente attorno alla sua protagonista, Halla, direttrice di un coro, interpretata dall'attrice Halldóra Geirharðsdóttir.

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Una donna in guerra

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La donna elettrica: Halldóra Geirharðsdóttir in un'immagine del film

È un'eroina tipicamente dinchisciottesca, Halla, dotata però di una lucidità e di un'efficienza che le permettono di mandare a bersaglio tutte le proprie missioni, per quanto talvolta possano apparire rischiose o strampalate. Refrattaria all'idea che il suggestivo paesaggio islandese e il suo equilibrio naturale possano essere contaminati dagli impianti di una multinazionale che si occupa dell'estrazione di risorse minerarie, Halla dichiara guerra a una fabbrica di alluminio: la donna si trasforma così in una "agente segreta" impegnata a battersi sotto i vessilli dell'ecologismo, con armi talvolta bizzarre o anacronistiche, ma capaci di mettere i bastoni fra le ruote al suo potente avversario.

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La donna elettrica: una scena con Halldóra Geirharðsdóttir

Su questa struttura narrativa, Benedikt Erlingsson innesta poi una sottotrama riguardante il desiderio di maternità di Halla: la sua richiesta d'adozione, infatti, è appena stata accolta (contro ogni aspettativa), e la donna è in procinto di ricevere in affidamento una piccola orfana dall'Ucraina. Come conciliare, a questo punto, la sua imminente responsabilità di madre con la sua crociata ambientalista contro la compagnia di alluminio? Ad intervenire in soccorso di Halla sarà la sua sorella gemella, Asa (impersonata sempre dalla Geirharðsdóttir), esperta di meditazione, pronta a consigliarla e a toglierle le castagne dal fuoco. Tutto questo avviene all'interno della cornice del più improbabile "campo di battaglia", in cui qualunque spunto drammatico si spegne immediatamente nell'umorismo di cui è intriso il film.

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Tra commedia umana, fiaba folk e farsa semi-grottesca

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La donna elettrica: Halldóra Geirharðsdóttir in una scena

È lo stesso umorismo dai tratti surreali, con toni ai limiti del grottesco, che percorreva Storie di cavalli e di uomini, fra satira di costume (in questo caso, uno degli elementi-chiave è invece l'ossessione per la tecnologia e le sue minacciose derive), ghignante "commedia umana" e puro divertissement. Erlingsson stesso, d'altra parte, stempera qualunque pretesa di realismo, di pathos o di suspense per tendere piuttosto a una costante sensazione di straniamento, accentuata dagli 'inserti' più paradossali del film: le improvvise apparizioni di un trio di musicisti folk e quelle di un terzetto di cantanti dall'Ucraina ad accompagnare le avventure e le disavventure di Halla.

E se la protagonista, alla fine, troverà forse un modo per conciliare le proprie contraddizioni, Erlingsson investe soprattutto su questa peculiare tipologia di humor, in parte benevolo, in parte graffiante e probabilmente non adatto a tutti i palati. Forse meno profondo di quanto possa sembrare, ma comunque coerente con una ben precisa idea di cinema, La donna elettrica conferma la natura variegata ed eccentrica della scrittura del regista islandese, nonché la sostanziale unicità della sua formula nell'attuale panorama europeo.

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3.0/5