La direttrice, la recensione: a cosa serve la Facoltà di Lettere nel 21° secolo?

La recensione de La direttrice, la nuova serie originale Netflix dal 20 agosto, co-creata da Amanda Peet con Sandra Oh nei panni della nuova responsabile della Facoltà di Lettere di un'università.

"Perché sei un Dottore se non aiuti mai nessuno?"

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La direttrice: Sandra Oh in una scena della serie

Avete presente quei film indie dal sapore agrodolce che vogliono dare un messaggio di speranza alla fine? È in quest'ottica che si inserisce La direttrice (The Chair), la nuova serie originale Netflix dal 20 agosto sulla piattaforma. Nel 2008 il nostro Paolo Virzì si interrogava in Tutta la vita davanti sul futuro della gioventù precaria della generazione anni '80-'90, soprattutto per quelli che sceglievano una strada universitaria letteraria e quindi venivano chiamati "dottori" pur non essendo medici, come tutti i laureati del resto. Come cercheremo di spiegare in questa recensione de La direttrice, Amanda Peet, con la serie da lei scritta e co-creata più di un decennio dopo, cerca di mostrare come - ancora di più nel modo tecnologico e interconnesso del 21° secolo - si cerchi di trovare una strada e un significato per quel dipartimento dimenticato che sembra essere quello di Lettere.

LETTERE O NON LETTERE, QUESTO È IL PROBLEMA

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La direttrice: una foto di scena della serie

Sandra Oh (conosciuta e amata in Grey's Anatomy prima e in Killing Eve poi) interpreta Ji-Yoon Kim, prima donna asiatica a ricoprire il ruolo della direttrice del titolo, quella del dipartimento di lettere all'università di Pembroke. Università che sembra aver perso smalto e prestigio negli anni, e la colpa in parte sembra risiedere nelle decisioni di stampo troppo accademico e poco attento a quanto accade nel mondo del suo corpo docenti, più vicino alla pensione che all'influenza dei social media oggi. Tra questi Joan (Holland Taylor, vista di recente su Netflix in Hollywood), amica e mentore di Ji-Yoon, il cui ufficio viene spostato nel seminterrato e Elliot Rentz (Bob Balaban, anche lui visto di recente su Netflix in The Politician), che si ritrova affiancato da un'insegnante più giovane, Yaz McKay (Nana Mensah), che potrebbe essere la prima donna afroamericana a diventare di ruolo nel dipartimento e cerca di riscrivere le dinamiche dell'insegnamento. A completare il quadretto tragicomico il prof. Bill Dobson (Jay Duplass, che aveva lavorato con Peet in Togetherness) - ex direttore del dipartimento, recentemente rimasto vedovo, amico e forse qualcosa di più per Ji-Yoon - e il Preside Larson (David Morse), fin troppo attento alla salute finanziaria della Pembroke e soprattutto a quella dei suoi ricchi (e bianchi) benefattori.

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MA COME FA A FAR TUTTO LA DIRETTRICE?

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La direttrice: Holland Taylor, Nana Mensah e Sandra Oh in una scena della serie

Il punto di vista femminile e femminista è centrale in questa serie, senza dimenticare i personaggi maschili, come quello di Bill, che si trova tra il proprio dramma personale e quello lavorativo. La stessa Ji-Yoon a casa trova altrettanto trambusto che sul posto di lavoro. È riuscita ad adottare con grande fatica, essendo single, una bambina ispanica, che sembra non sentirsi a suo agio nella nuova casa e che fa impazzire le varie babysitter che la madre trova. Peet e gli altri autori sembrano perdere ogni tanto la bussola, infarcendo la serie di tanti - forse troppi - elementi e tematiche per i soli sei episodi da mezz'ora di cui è composta.

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La direttrice: Nana Mensah in una scena della serie

C'è una riflessione su cosa abbia da dire oggi la letteratura anglo-americana - ma questo si potrebbe tranquillamente trasporre a quella italiana e così via - in un mondo che sembra non avere più tempo per nulla, che si ferma alla superficie. Si parla di discriminazione razziale e di genere in un posto lavorativo storicamente maschile come quello accademico. Si parla delle difficoltà di una donna single nel bilanciare lavoro e carriera. Nel tratteggiare tanti personaggi e le relazioni fra di essi, in un'atmosfera da L'attimo fuggente, si perde di vista ogni tanto la loro evoluzione e soprattutto quella di colei che dà il titolo allo show. L'attualità è importantissima soprattutto in un'ambientazione come quella scolastica - mostrata dal punto di vista dei docenti e non solo degli studenti - ma allo stesso tempo bisogna dare respiro a coloro che la abitano, permettendo loro di arrivare allo spettatore e dargli anche qualche elemento in più per capire il loro background e, soprattutto, il loro futuro. È encomiabile l'attenzione che viene data all'uso delle parole nello show, dato che parliamo pur sempre di un contesto letterario, ma questo a volte non basta.

Conclusioni

Chiudiamo la recensione de La direttrice, contenti di rivedere Sandra Oh in tv in un nuovo ruolo, così come Jay Duplass e Holland Taylor, ma allo stesso tempo perplessi per la gestione dei tanti – forse troppi – elementi e tematiche messi in cantiere per soli sei episodi. Si tratta di una serie estremamente attuale e stimolante ma che allo stesso tempo si perde nel suo stesso percorso creativo.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.4/5

Perché ci piace

  • Rivedere in tv Sandra Oh, Jay Duplas e Holland Taylor in nuovi ruoli azzeccati e accattivanti.
  • L’ambientazione universitaria vista dal punto di vista dei docenti e soprattutto della Facoltà di Lettere nel 21° secolo.
  • L’attenzione alla linguistica e ai dialoghi da parte di Amanda Peet e degli altri autori, insieme alle tante tematiche affrontate…

Cosa non va

  • …forse troppe per i soli sei episodi a disposizione.
  • I personaggi, in primis la protagonista del titolo, avrebbero meritato maggior approfondimento e respiro per raccontare il loro background e il loro futuro.