14 maggio 1997: gli avventori del Festival di Cannes hanno modo di vedere, nel concorso ufficiale, L.A. Confidential, decimo lungometraggio del compianto Curtis Hanson e adattamento dell'omonimo romanzo di James Ellroy, autore notoriamente avverso alle trasposizioni cinematografiche dei propri libri con l'eccezione notevole del lavoro di Hanson (e un montaggio provvisorio di The Black Dahlia che il pubblico non ha avuto modo di vedere). Fin da quella prima proiezione questo noir duro e cinefilo ha fatto breccia nei cuori di critici e altri addetti ai lavori, imponendosi nel corso dei mesi come uno dei migliori film dell'anno, con nove candidature agli Oscar e due vittorie (per la sceneggiatura e per l'interpretazione di Kim Basinger nei panni della prostituta Lynn Bracken), e successivamente del decennio. Nel 2015 ha fatto parte delle opere più recenti - in termini di data d'uscita - ad essere scelte per l'inclusione nel National Film Registry, sottosezione della Biblioteca del Congresso dedicata alla preservazione di pellicole giudicate "culturalmente, storicamente o esteticamente significative". Cosa ha contribuito a questo successo che per molti era tutt'altro che scontato? Rivediamone insieme gli elementi fondamentali.
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Ellroy Confidential
Dato alle stampe nel 1990, L.A. Confidential è il terzo capitolo del cosiddetto L.A. Quartet, quattro romanzi sporchi e densi focalizzati sul dipartimento di polizia nella Città degli Angeli tra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Cinquanta. Acclamato fin da subito, il libro fu acquistato nell'anno di pubblicazione dalla Warner Bros. con l'intento di ricavarne un film, sebbene lo stesso Ellroy fosse scettico al riguardo a causa della trama particolarmente intricata che comprendeva un centinaio di personaggi importanti, una decina di storyline che si intersecano e una durata temporale dilatata (otto anni). Era assolutamente necessario, quindi, che chiunque accettasse il compito di adattare per lo schermo la prosa ruvida e spietata di colui che si autodefinisce da sempre "il miglior autore vivente di crime fiction" avesse un'idea chiara del mondo dello scrittore e di come mantenerne intatta l'anima pur facendo delle concessioni sul piano puramente narrativo.
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Destini incrociati
La scelta della Warner per la regia cadde su Hanson, lettore accanito dei libri di Ellroy. Nello stesso periodo la major era stata contattata dallo sceneggiatore Brian Helgeland, anch'egli appassionato del ciclo losangelino ma ancora troppo poco noto per essere preso in considerazione per l'incarico come adattatore del romanzo. Helgeland fece in modo di incontrare Hanson, e i due decisero di scrivere insieme la sceneggiatura, trovandosi perfettamente d'accordo sul modo giusto per portare sullo schermo il mondo crudele di Ellroy. Bisognava solo convincere uno dei produttori, Arnon Milchan, il quale aveva ancora dei dubbi sulle potenzialità del film. Hanson gli mostrò una serie di cartoline vintage della città di Los Angeles e fotografie che ne mostravano sia il glamour che il lato più oscuro (il titolo del romanzo e del film deriva dalla nota rivista scandalistica Confidential, divenuto Hush-Hush - Zitti zitti in italiano - nell'universo di Ellroy). Soddisfatto sul piano estetico - le cartoline di cui sopra furono l'ispirazione per l'inizio della sequenza d'apertura - e dalla promessa di Hanson che i personaggi non sarebbero stati messi in disparte a favore dell'atmosfera d'epoca, Milchan accettò di finanziare il progetto insieme alla Warner.
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Il buono, il violento e il corrotto
La filosofia di Hanson e Helgeland per l'adattamento fu molto semplice: bastava rimuovere tutte le scene che non fossero direttamente legate alle vicende dei tre poliziotti principali, concentrandosi unicamente sui punti essenziali della trama (per questo alcuni personaggi che nel libro sono molto presenti, come Inez Soto o Ellis Loew, nel film appaiono poco o quasi per nulla). Una scelta saggia, che permise al duo di costruire un solido intreccio noir intorno a tre protagonisti diversissimi: Ed Exley, figlio di un noto poliziotto e costretto a mettere a dura prova il suo rispetto assoluto per la legge a causa della corruzione all'interno della LAPD; Bud White, il cui vissuto è all'origine della sua crociata personale contro gli uomini accusati di violenza coniugale (come dice il suo partner, "sei come Babbo Natale, solo che nella tua lista sono tutti cattivi"); e Jack Vincennes, archetipo dello sbirro hollywoodiano, tossicodipendente e legato al mondo dello spettacolo in quanto consulente di una serie TV poliziesca e informatore della principale rivista di gossip in città.
Per interpretare il terzetto furono scritturati Guy Pearce, Russell Crowe e Kevin Spacey. I primi due furono delle scelte non facili per convincere i produttori, essendo entrambi all'epoca australiani (semi)sconosciuti in America, ma a compensare ci pensarono Spacey, allora lanciatissimo grazie a Seven e I soliti sospetti, e comprimari del calibro di Danny DeVito e Kim Basinger, anima femminile e umana di un universo brutale dove la violenza e la misoginia si cela dietro ogni angolo. Ne sa qualcosa il perfido Dudley Smith, dietro il cui fascino irlandese si nasconde un cuore duro e spietato: dopo aver chiesto ad Exley, all'inizio del film, se sarebbe disposto a falsificare prove o sparare a un criminale per evitare che questi la faccia franca, usa questa conversazione per spiegare perché Bud White non sarà arrestato per il suo comportamento violento: "È un uomo capace di rispondere di sì a quelle domande che ti faccio di tanto in tanto."
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"Vieni a Los Angeles!"
Come promesso da Hanson, il mood non ha mai il sopravvento sui personaggi. Eppure la città di Los Angeles, ricreata con tutte le sue imperfezioni, è essa stessa quasi un personaggio, al centro di una storia dove il mito di Hollywood viene demolito tramite una sottotrama su un giro di prostituzione dove le donne sono tutte identiche a vare dive del cinema, o per natura o grazie alla chirurgia. Certo, viene ricostruito anche il glamour d'epoca, ma la nostalgia non fa parte della poetica di Ellroy trasposta da Hanson e Helgeland. Siamo quasi alle prese con un erede di Chinatown, meno implacabile ma non per questo meno riuscito. Basti pensare all'apparente happy end, anch'esso intriso di cinismo e malinconia.
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Un fenomeno inimitabile
Ancora oggi L.A. Confidential rimane impareggiabile, soprattutto agli occhi di Ellroy che, al di là delle lodi fintamente beffarde per il lavoro di Hanson ("Great fucking movie. Better fucking novel."), non ha molto amore per le altre trasposizioni del suo universo letterario. Tra queste c'è stato anche un tentativo di portare il ciclo losangelino in televisione, con Kiefer Sutherland nei panni di Jack Vincennes. Il progetto si è fermato al pilot, disponibile tra i contenuti speciali dell'edizione DVD/Blu-ray del film: un oggetto curioso ma frustrante, dove le logiche seriali incidono negativamente sia sui personaggi che sull'atmosfera sporca della fonte letteraria, diluita per soddisfare gli standard di un network generalista come Fox. In altre parole, non ci sarà un altro L.A. Confidential, il che non è un aspetto particolarmente negativo considerando che il fascino tragico dell'originale, a distanza di due decenni, non è stato scalfito da quel passare del tempo che ha segnato la città stessa.