È un film di promesse (mancate) e terre promesse The Brutalist. L'opera diretta da Brady Corbet scritta a quattro mani con Mona Fastvold. Tre ore e mezza di durata filmate in 70mm - con annesso intervallo - dedicate alla vita e all'opera del fittizio architetto ebreo ungherese László Tóth con il volto di Adrien Brody. Un uomo sopravvissuto al campo di concentramento di Buchenwald che, all'indomani della fine del conflitto, emigra negli Stati Uniti. La prima volta che Corbet ce lo mostra è sulla nave a poche miglia da New York. Una risata e un'immagine della Statua della Libertà capovolta.
Un presagio forse di quello che saranno gli anni a venire. Il simbolo per eccellenza di libertà, speranza e di quel sogno americano che nell'esperienza umana di Tóth spesso assumerà, al contrario, i contorni dell'incubo. Come se quella fiaccola accesa così idealmente vicina all'acqua che costeggia la riva di Lower Manhattan si spegnesse spazzando via il carico di speranze che quel viaggio porta con sé. Ad accompagnare quei primi dieci minuti di grande cinema la colonna sonora di Daniel Blumberg.
Una colonna sonora "brutalista"
Un Overture in tre parti - Ship, László e Bus - che il musicista e compositore sperimentale amante dell'improvvisazione infonde di elementi solenni, sinistri, magnifici. Quattro note ripetute in modo ossessivo nel corso della prima parte - e che torneranno in più punti della partitura suonate da strumenti diversi - si aprono in una melodia maestosa grazie agli ottoni e alle percussioni per poi lasciare spazio al pianoforte usato per descrivere l'architetto fino a tornare al suono avvolgente e vibrante di trombe e tube nella sezione finale. Una sequenza introduttiva in cui è la musica a dettare l'andamento delle immagini.
Dopo la scomparsa nel 2019 di Scott Walker che aveva realizzato la colonna sonora di The Childhood of a Leader e Vox Lux, Brady Corbet ha deciso di affidare le musiche di The Brutalist a Daniel Blumberg che aveva già firmato quelle de Il mondo che verrà per Mona Fastvold. Un lavoro lungo sette anni - tanta è stata la gestazione del film - in cui regista e compositore si sono interrogati su che tipo di musica avrebbe dovuto accompagnare la vita del protagonista. Candidata agli Oscar come miglior colonna sonora originale, la partitura di The Brutalist riflette l'anima brutalista delle opere realizzate dall'architetto.
Si tratta di composizioni che, allo stesso tempo, hanno la capacità di racchiudere un'anima minimalista e un'altra imponente. Esattamente come le opere progettate da László Tóth. Apparentemente scarne eppure imponenti. La propensione per l'improvvisazione di Blumberg aggiunge poi quel senso di imprevedibilità che porta i vari brani a virare improvvisamente e cambiare pelle, direzione, registro. In questo senso ne sono un esempio Intermission che accompagna l'intervallo assumendo i contorni di una creazione improvvisata al pianoforte o Carrara che al suo interno contiene più anime date dall'uso diverso degli ottoni, contemporaneamente caldi e stridenti.
Un'attitudine jazz votata all'improvvisazione
Un'ora e venti di durata per trentadue tracce fortemente debitrici anche del jazz - genere per eccellenza improntato all'improvvisazione - che possono essere avvolgenti, respingenti, trionfali. Proprio come le opere architettoniche brutaliste, la colonna sonora del film dà l'impressione di mostrare le strutture musicali che caratterizzano i brani. Una sensazione facilmente ravvisabile in Construcion, una composizione "visiva" tanta è la sua capacità di creare un ritmo che rimanda alla creazione affidato a percussioni e xilòfono.
Una colonna sonora quella di The Brutalist realizzata, grazie ad una tecnologia di registrazione remota, tra Londra, il Kent, Berlino e Marsiglia che ha permesso ai musicisti di essere in un certo senso riuniti in uno studio virtuale. Pochissimi strumenti - trombone, pianoforte, tuba, percussioni - che Daniel Blumberg utilizza per riprodurre anche altri suoni e che sono spesso accompagnati da elementi diegetici o extradiegetici. È il caso di Erszébet, brano dedicato alla moglie di Toth interpretata da Felicity Jones che incorpora i rumori della stazione al suono del pianoforte - suonato dal vivo dal compositore durante le riprese per aiutare emotivamente gli attori - dove la coppia si incontra dopo anni trascorsi forzatamente separati.
Il film di Brady Corbet ci mostra la vita costellata di difficoltà di László Tóth e la sua l'ossessione per la costruzione di un istituto commissionato dal facoltoso Harrison Lee Van Buren di Guy Peirce. Quell'idea fissa attraverso cui lasciare una traccia indelebile della sua esistenza - e dell'esperienza nei campi di sterminio - è il viaggio di cui il regista ci rende testimoni. Sullo sfondo di un Paese che si rivelerà "marcio" e un'altra terra promessa che non è altro che un cumulo di bugie.