La caduta dell’impero americano, la recensione: prendi i soldi e scappa

La recensione de La caduta dell'impero americano: il film di Denys Arcand è un'ironica commedia sul riciclaggio di denaro sporco, fra spunti satirici e riflessioni morali.

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La caduta dell'impero americano: Maripier Morin e Alexandre Landry in una scena

Nella recensione de La caduta dell'impero americano, Hollywood Reporter definisce il nuovo film di Denys Arcand come un "Pretty Woman per socialisti". Una buffa locuzione in cui è racchiusa tuttavia l'essenza di una pellicola in cui la dimensione della commedia, non priva di elementi di romanticismo, è coniugata alla consueta riflessione del regista canadese a proposito dei meccanismi sociali, politici e culturali della nostra epoca: meccanismi da sempre al centro del cinema di Arcand, autore esploso sulla scena internazionale poco più di trent'anni fa, nel 1986, grazie a Il declino dell'impero americano, accolto da un successo sorprendente in tutto il mondo e diventato il film franco-canadese più visto di sempre. Un cult movie verso cui il regista elabora un riferimento diretto fin dal titolo di questo suo nuovo lavoro, presentato al Festival di Toronto 2018, a quattro anni di distanza dal precedente Le règne de la beauté (inedito in Italia), e distribuito finalmente anche nelle nostre sale.

L'impero alla fine della decadenza

Il suggestivo titolo de Il declino dell'impero americano alludeva alla teoria a partire dalla quale una docente di storia si poneva il seguente interrogativo: "L'esasperata ricerca della felicità individuale che osserviamo oggigiorno nella nostra società non può essere, in fin dei conti, storicamente legata al declino dell'impero americano a cui stiamo cominciando ad assistere?". A oltre tre decenni di distanza, e dopo la malinconica analisi sulla crisi morale di una generazione espressa nel 2003 nell'altro suo film di culto, il sequel Le invasioni barbariche, Denys Arcand affida a un altro titolo emblematico, La caduta dell'impero americano, la descrizione di una società in cui non solo il potere economico ha acquisito un ruolo preminente, ma in cui la mediocrità sembra essere il nuovo paradigma per conseguire un'affermazione personale.

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La caduta dell'impero americano: Alexandre Landry in una scena

Un paradigma rafforzato, nelle parole del protagonista, proprio dalla situazione politica negli Stati Uniti dell'epoca di Donald Trump: "Gli imbecilli adorano i cretini". E Pierre-Paul Daoust, interpretato da Alexandre Landry, è tutt'altro che un imbecille: eppure, nonostante abbia trentasei anni e un dottorato in filosofia, non è ancora riuscito a trovare un ruolo sociale adeguato e si accontenta di lavorare come fattorino. Il film si apre non a caso al tavolo di un locale, con la conversazione in cui Pierre-Paul, rassegnato di fronte alla mediocrità che domina la civiltà occidentale, espone alla sua fidanzata, la segretaria Linda Demers (Florence Longpré), i motivi per cui persone come loro non avranno mai successo nella vita. Un prologo contraddistinto dall'infallibile ironia di Arcand e che richiama alla mente il formidabile incipit di The Social Network, verso il quale presenta più di un'analogia.

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I criminali da strapazzo di Denys Arcand

L'intelligenza, la sensibilità e l'etica sono davvero degli ostacoli insormontabili in un mondo che celebra la stupidità e la disonestà? Pierre-Paul deciderà di mettere alla prova tale teoria rinunciando alla propria integrità davanti a un'occasione più unica che rara, ispirata a Denys Arcand da un reale caso di cronaca: mettere le mani su due borse contenenti un'enorme quantità di denaro, frutto di una rapina finita tragicamente. Ecco dunque il timido, insicuro e impacciato ex accademico trasformarsi in un criminale alle prime armi, con la collaborazione dell'esperto Sylvain Bigras (Rémy Girard, attore-feticcio di Arcand), specializzato nel riciclaggio di denaro sporco, e di Camille Lafontaine, detta Aspasia (Maripier Morin, conduttrice televisiva al suo esordio al cinema), una prostituta d'alto bordo estremamente colta e pronta a lasciarsi conquistare dal "cuore d'oro" di Pierre-Paul.

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La caduta dell'impero americano: Alexandre Landry e Maripier Morin in una scena

La banda di gangster sulle tracce della refurtiva, ma soprattutto una coppia di detective della polizia impegnati a tenere d'occhio Pierre-Paul diventano le componenti di rischio di un film in cui le convenzioni dell'heist movie sono appena un pretesto: Arcand si muove sul filo della parodia ma senza mai perdere l'equilibrio, e adotta gli strumenti della commedia per mettere in luce contraddizioni e ambiguità morali di personaggi divisi fra la legge e il crimine, rompendo così qualunque forma di manicheismo. E se il titolo poteva lasciar presagire una satira feroce, alla prova dei fatti La caduta dell'impero americano rivela invece un umorismo ben più delicato, veicolo di uno spirito umanista considerato l'unico antidoto contro l'individualismo sfrenato e le ingiustizie sociali. Uno spirito di cui Pierre-Paul e la sua banda finiranno per diventare, contro ogni aspettativa, i più orgogliosi alfieri.

Conclusioni

Per gli estimatori di Denys Arcand, esponente di un cinema sofisticato e ‘intellettuale’ ma che non rinuncia ad offrire un piacevole intrattenimento, questo film segna un atteso ritorno in grado di coniugare l’umorismo e la critica anticapitalista, senza farsi mancare qualche pennellata di suspense. Aspetti a cui abbiamo fatto riferimento nella nostra recensione de La caduta dell’impero americano, opera che prosegue ed espande l’affresco della società contemporanea dipinto dal pluripremiato regista canadese in quasi mezzo secolo di carriera, con quella leggerezza che tuttavia non è mai sinonimo di superficialità.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.7/5

Perché ci piace

  • L’ironia con cui Denys Arcand dipinge i suoi bizzarri antieroi e la loro impresa criminale.
  • La capacità di elaborare una riflessione sulla società contemporanea, ma senza risultare retorico né didascalico.
  • Le deliziose punchline e le pennellate sarcastiche che condiscono il film.

Cosa non va

  • Un epilogo un po’ troppo consolatorio e forse meno incisivo di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi.