Il Festival di Berlino si chiude sotto un cielo terso e stellato con una vittoria inaspettata che va contro ogni previsione. Dribblando la rosa dei pronostici della stampa, che comprendeva l'inossidabile Il petroliere, il delicato neorealismo iraniano di The song of sparrows, la divertente commedia di Mike Leigh Happy Go-lucky e, ahimè, il pessimo Cherry Blossoms dell'autoctona Doris Dörrie, la giuria presieduta da Costa-Gavras premia a sorpresa il film brasiliano The elite squad, violento lavoro di denuncia contro i metodi brutali e la corruzione della polizia brasiliana che ha alle spalle una storia di pirateria infomatica e diffusione capillare sul web grazie alla quale, in patria, è diventato un caso molto discusso. Se è vero che il film impressiona per la regia adrenalinica e il ritmo possente, non si può negare che la compattezza e l'energia che lo caratterizzano alla lunga pesino sulla visione. Ma un regista politicamente impegnato e particolarmente vicino alle problematiche del Sudamerica quale è Costa-Gavras ha preferito far trionfare un lavoro che spicca per impegno sociale e non teme di prendere posizioni decise contro l'autorità costituita di un paese preda di profondi squilibri.
Sempre nella stessa ottica politica si può spiegare il Gran Premio della Giuria che va al documentarista Errol Morris, capace di far discutere a lungo la critica sull'onestà intellettuale e sulle metodologie d'indagine applicate in S.O.P.: Standard Operating Procedure, ma che comunque si accosta con coraggio e mestiere a un nervo scoperto dell'amministrazione Bush, i fatti accaduti ad Abu Ghraib. Meritatissimo l'Orso d'Argento per la regia consegnato a un Paul Thomas Anderson visibilmente soddisfatto, che prosegue il suo cammmino trionfale verso la notte degli Oscar portando a casa anche un riconoscimento per la straordinaria colonna sonora composta da Jonny Greenwood. Il film avrebbe potuto tranquillamente ricevere anche un altro premio per la straordinaria performance di Daniel Day-Lewis, ma l'Orso d'Argento per il miglior attore è andato al protagonista di The song of sparrows Reza Najie, giusto riconoscimento per una performance intensa, divertente e commovente al tempo stesso. Non c'erano dubbi, invece, sulla decisione della giuria riguardo alla miglior interprete femminile: regina del concorso è la stupefacente Sally Hawkins, tenera ed espressiva musa di Mike Leigh in Happy Go-lucky che sbaraglia ogni possibile concorrenza con una sorprendente interpretazione da fuoriclasse.
Non convince pienamente la scelta di assegnare il premio per la miglior sceneggiatura al cinese In love we trust, film che non aveva lasciato il segno dopo la visione, perdendo incisività a causa della lunga durata e della trama non particolarmente originale nonostante l'apprezzabile volontà di focalizzare l'attenzione sul tema della famiglia allargata.
Grande la soddisfazione, anche se si tratta di un premio minore, per l'assegnazione dell'Alfred Bauer Prize al messicano Lake Tahoe, altro film che avrebbe meritato più attenzione in un concorso dove a dominare è stata una qualità medio-bassa, con poche significative eccezioni.
Fuori dal palmares gli italiani in concorso, completamente ignorati o addirittura criticati dalla stampa tedesca, cosa più che comprensibile nel caso del controverso Feuerherz di Luigi Falorni, molto meno per il convincente Caos Calmo che avrebbe potuto tranquillamente ambire alla vittoria. In generale i film italiani presenti nelle altre sezioni del Festival hanno mostrato di soffrire tutti della sindrome dell'emigrante: basta dare un'occhiata a La terramadre, affresco dal taglio neorealista sull'emigrazione siciliana, o a Sonetaula, storia di brigantaggio di difficile comprensione proprio perché interamente parlato in lingua sarda. Fa eccezione il brioso documentario Improvvisamente l'inverno scorso, realizzato dai giornalisti Gustav Hofer e Luca Ragazzi, che illustra la triste situazione italiana riguardo la legislazione che regola le coppie di fatto, legislazione a tutt'oggi inesistente.
Con la cerimonia di premiazione si conclude questa 58ma edizione del festival che, proprio negli ultimi due giorni, ha giocato gli assi nella manica proponendo le anteprime mondiali de L'altra donna del re, pellicola che ha portato a calcare la passerella del Berlinale Palast le due stelle hollywoodiane Scarlett Johansson e Natalie Portman, e del nuovo atteso lavoro di Michel Gondry Be kind rewind, pellicola surreale e scanzonata scelta ad hoc per sancire la fine della manifestazione a causa della sottile malinconia che ne permea il finale e che contagia anche gli spettatori.