L'ultimo grande film di un Hitch sempre più maturo e perverso
Marnie rappresenta la fine del 'periodo aureo' hitchockiano, sia per tematiche, che per il fatto che fu l'ultimo girato con la sua troupe di collaboratori abituali: il direttore della fotografia Robert Burks ed il montatore George Tomasini morirono poco dopo, mentre invece con lo sceneggiatore Evan Hunter ed il musicista Bernard Hermann ci furono dissidi tali, da chiudere ogni tipo di collaborazione.
Le critiche nei confronti di questo film non furono mai tenere e, tra i critici, non sono pochi coloro che ritengono Marnie il film che segna la crisi del regista e l'inizio della parabola discendente che Alfred Hitchcock non riuscirà più a ribaltare. Si pensi ad esempio alla recensione di seguito citata che ben rappresenta l'atteggiamento semplicistico tenuto dalla critica nei confronti dell'ultimo vero film di Hitchcock.
"Poche pellicole sono risultate in tal modo appesantite dal gravame dei rapporti sul set e dalla smania libidinosa del grande regista quanto Marnie. Hitchcock, vistosamente attratto da Tippi Hedren, si era creato un alter ego virile e violento come Sean Connery. Lei però, a due terzi delle riprese e dopo essere stata simbolicamente perseguitata dagli uccelli nell'opera precedente, decise di mandare il 'Ciccione' a quel paese. Ne uscì un film malato e perturbante: la Hedren non fece più nulla di significativo, e forse neppure Hitchcock."
In realtà, uno tra i pochi a comprendere la vera portata di un film come Marnie è stato, come al solito, Truffaut che lo definì non solo l'ultimo film di Hitchcock ma anche "un insuccesso cocente e insieme un'opera appassionante, che rientra nella categoria dei 'grandi film malati'. Un 'grande fim malato' non è altro che un capolavoro abortito, un'impresa ambiziosa che ha sofferto errori di percorso... un certo grado di cinefilia porta a preferire nell'opera di un regista il suo film malato al suo capolavoro incontestato... i 'grandi film malati' lasciano emergere con più crudezza la loro ragion d'essere... Marnie rientra perfettamente in questa strana categoria, troppo trascurato dalla critica cinematografica."
A diciannove anni da Io ti salverò, Hitchcock rispolvera la tematica psicologica, anche se, in questa pellicola, in maniera molto più complessa. Tutta la suspense deriva dal personaggio della protagonista, in cui il regista concentra la più tipica ambiguità del suo cinema, il continuo gioco tra colpevolezza ed innocenza.
Marnie è al tempo stesso carnefice, ladra, aspirante suicida, vittima di qualcosa di sconosciuto, preda delle sue paure. Una figura tanto inquietante quanto fragile, il cui mistero troverà una spiegazione solo alla fine. All'inizio della pellicola la vediamo mentre compie con precisione tutte le operazioni necessarie al cambio d'identità. Da mora la ragazza diventa bionda.
Il primo piano è inconfondibile; ecco ripresentarsi nuovamente la bionda virginale presente, soprattutto ma non solo, nella fase più matura del cinema del maestro.
In un certo senso, infatti, proprio in Marnie, Sir Alfred porta il suo discorso sulla donna algida alle sue estreme conseguenze, probabilmente giocando sulle aspettative di critici e giornalisti che si erano già sbizzarriti nel formulare ipotesi e teorie complesse per spiegare la presenza costante di queste bellezze all'interno dei suoi film. È forse così che si spiega, l'ossessione per i capelli biondi evidente all'inizio di Marnie e le numerose inquadrature dedicate proprio ai capelli di Marnie o di Jessie, la bambina di cui la madre della protagonista si prende cura. Il discorso cinematografico hitchcockiano diventa sempre più autoreferenziale, percorso da continui riferimenti a molti suoi film precedenti.
Marnie, però, a differenza di altre figure hitchcockiane si carica di un'inedita complessità, in parte dovuta alla tematica psicologica, in parte anche al romanzo di Winston Graham, testo particolarmente elaborato che dà origine ad una sceneggiatura altrettanto complessa.
E questa complessità non risalta esclusivamente nel personaggio di Marnie ma anche nei rapporti che la protagonista instaura con gli altri personaggi. Si pensi ad esempio al rapporto tra lei e la madre, non certo un rapporto nuovo all'interno della carriera del regista ma che, in questa pellicola si carica di una dinamica psicologica che oscilla tra il morboso attaccamento e l'odio ferocissimo. Hitchcock non si accontenta più del semplice odio-amore più e più volte analizzato ma affonda nella psiche delle due un rapporto instabile e angoscioso che percorrerà tutta la pellicola, sino al sorprendente finale.
Già dalle prime scene, lo spettatore ne individua la portata. Dapprima la madre si scaglia ferocemente contro il nuovo colore di capelli della figlia, con una battuta che sembra quasi far emergere la poetica hitchcockiana ("vedo che ti sei schiarita i capelli... non mi piacciono, i capelli così biondi le portano solo quelle che vanno a caccia di uomini... e le ragazze serie non vanno a caccia di uomini"); poi, la donna comincia ad elogiare i comportamenti della figlia nei confronti degli uomini ("Una donna perbene non ha mai bisogno degli uomini... proprio come te Marnie. Sei troppo furba per lasciarti confondere dagli uomini, da qualunque uomo").
Ancora più complessa è la relazione tra Marnie e Mark, il ricco uomo d'affari che s'innamora di lei proprio perché ladra e bugiarda. Hitchcock dichiarerà: "Mi piaceva soprattutto l'idea di far vedere un amore feticista. Un uomo vuol andare a letto con una ladra perché è ladra... sfortunatamente questo amore feticista non è stato reso così bene sullo schermo come quello di James Stewart per Kim Novak in La donna che visse due volte. Per dirla chiaramente avremmo dovuto far vedere Sean Connery che sorprende la ladra davanti alla cassaforte e ha voglia di saltarle addosso e violentarla sul posto".
L'amore tra i due è tutto un gioco di ruoli in cui è la donna, cinica e apparentemente algida, a muovere tutto, a provocare l'uomo per poi tirarsi indietro. Questa almeno sembra essere la situazione iniziale tra i due con Marnie burattinaia e Mark succube del gioco messo in atto dalla donna. In men che non si dica, però, i ruoli si ribaltano; Marnie, scoperta, è costretta a sottostare alle nuove regole del gioco ideate da Mark. La ragazza finisce per dipendere da lui poiché a conoscenza del suo segreto e libero di consegnarla, in qualunque momento, alla polizia.
Quello che Sir Alfred mette in scena non è più il gioco della donna che gioca sul sesso per ingannare l'uomo, ma il gioco dell'ammaestramento che si evidenzia in un breve scambio di battute tra i due protagonisti:
Marnie: "Tu non ami me... io sono una cosa che tu hai catturato... tu mi ritieni una specie di animale che hai intrappolato".
Mark: "Ah è vero, lo sei... e ho catturato una vera bestia feroce questa volta... non è vero?".
Non è un caso, infatti, che Mark abbia una passione per l'ammaestramento degli animali da preda più selvaggi come ad esempio il giaguaro. In uno tra i primi incontri tra i due, Mark farà continuamente riferimento a Sophie, il giaguaro che è riuscito ad ammansire; Sophie diventa per Mark la metafora di Marnie, donna selvaggia e misteriosa che desidera conquistare e dominare, ad ogni costo.
A partire da questo momento, Mark comincerà ad indagare la psiche di Marnie per scoprire la causa scatenante della sua malattia e, nel frattempo, cercherà di proteggerla dalla polizia. In Marnie si ribalta dunque il paradigma di Io ti salverò in cui era la donna a doversi occupare dell'uomo sino alla sua guarigione. Tuttavia, mentre nel film con Ingrid Bergman e Gregory Peck era tutto semplice, in Marnie, la protagonista non ha la ben che minima intenzione di farsi aiutare, neanche da Mark. La donna, infatti, odia gli uomini tanto da rifiutarne ogni contatto.
L'apparente frigidità, da sempre caratteristica tipica delle bionde hitchcockiane, assume qui un valore più pragmatico, non più limitato alla mera apparenza, ma che finisce per divenire l'essenza più profonda di Marnie. Non a caso, infatti, il leitmotiv del film sarà il forte contrasto tra la passionalità di Mark e la freddezza di Marnie, contrasto che, in un crescendo, esploderà nella scena d'amore tra i due. Hitchcock, attraverso il ricorso ad un rapidissimo montaggio alternato, metterà in ampio risalto, da un lato l'impetuosità di Mark che spoglia la protagonista con violenza, dall'altro l'imperturbabilità di Marnie ridotta a mero oggetto sessuale.
Quest'estrema complessità fa di Marnie un capolavoro maledetto che si riallaccia fortemente a La donna che visse due volte, specialmente per la maniera in cui esplora le ossessioni sessuali dei protagonisti e, di conseguenza, del regista. In Marnie, senza alcun dubbio l'ultimo film pienamente sentito di Hitchcock, dietro Sean Connery che cerca di controllare, dominare e possedere Tippi Hedren, che indaga sulla sua vita, le procura il lavoro, del denaro, c'è evidentemente Sir Alfred, pigmalione beffeggiato che si racconta.