Recensione L'avventura (1960)

Il film riflette con incredibile potenza visiva il disagio esistenziale della società borghese italiana approfondendo l'aspetto dell'incomunicabilità e dell'alienazione dei protagonisti.

L'avventura di un film

In occasione della manifestazione messinese dedicata a Michelangelo Antonioni lo scorso 26 - 28 aprile, presso il Cinema Odeon è avvenuta la proiezione della versione restaurata de L'avventura, Premio speciale della giuria a Cannes (1960) per il tentativo di sviluppare un nuovo linguaggio cinematografico e per la bellezza delle immagini. Questo film ha un doppio legame con la città peloritana, la quale si racconta anche se brevemente con una scena di massa (rara in Antonioni), in un luogo dove poco vicino nacque un personaggio come Adolfo Celi.

Primo capitolo di una tetralogia che prosegue con La notte, L'eclisse e Deserto rosso, il film ebbe una genesi travagliata legata a problemi finanziari e logistici, che causarono il dilungarsi del periodo delle riprese. A ciò bisogna aggiungere anche il totale insuccesso nei confronti del pubblico (anche quello francese), nonostante tutto però la pellicola è il primo successo internazionale del regista ferrarese. Definito uno dei cento film da salvare, L'avventura racconta di una comitiva di amici che durante una gita alle Isole Eolie, vede dileguarsi nel nulla Anna (Lea Massari), una loro componente. Il panico si diffonde e Sandro, il fidanzato (Gabriele Ferzetti) e l'amica Claudia (Monica Vitti) partono in un viaggio alla ricerca della donna; ma l'avventura intrapresa finisce per diventare un viaggio d'amore, nel quale la figura dell'amica/amante scomparsa via via perde di significato.

Antonioni poteva far sparire Anna soltanto a Lisca Bianca di Panarea, dove il paesaggio inospitale, fatto di rocce appuntite, di un mare agitato e di un clima ostile, esplica in pieno il suo animo angosciato. Lisca Bianca rappresenta anche l'inizio della rappresentazione dell'interiorità degli altri personaggi, resa ancor più evidente dalla perdita del centro dell'immagine. Antonioni si muove nei paesaggi interiori di Sandro e Claudia (e non solo) evidenziando il legame ontologico tra l'individuo e l'ambiente attraverso l'uso dei totali che "spingono alle soglie dell'ignoto" (Sandro Bernardi). Dai totali eolici, un misto di immagine cinematografica e documentaria (la tromba d'aria, i delfini), si parte senza una precisa meta verso altri luoghi della Sicilia, da Milazzo a Noto a Bagheria, attraverso quelle città fantasma che popolano l'entroterra, qui emblema della vastità vuota dei personaggi, tutti borghesi, ma testimoni di questo amore che in fine si svelerà fragile.

Prima della tappa finale, Taormina, dopo Milazzo seguono le brevi sequenze di Messina, dove Sandro incontra un giornalista de L'Ora _di Palermo nel tentativo di avere notizie in più rispetto a quanto scrisse nell'articolo sulla scomparsa della fidanzata. Nell'incrocio tra viale Europa e viale San Martino presso il bar Grotta Orione una folla incredibile di uomini più o meno giovani si spingono a vicenda per riuscire a vedere ciò che accade; si scoprirà subito dopo che una donna molto sensuale, una sedicente scrittrice di nome Gloria Perkins (Dorothy De Poliolo - in fine si scoprirà essere una prostituta di lusso), indossa una gonna con una scucitura dalla quale si intravede un reggicalze. Tanta caciara per così poco, o come dice il barista "_Pi 'na fimmina! Ma chi schifìu è?".
Infine Taormina, dove la coppia Sandro/Claudia si aggrega ad alcuni amici del precedente viaggio; non si parla più di Anna. La vita mondana accoglie un Sandro che impiega poco per tradire l'amore da poco sbocciato con Claudia, che lo scopre scambiarsi tenere effusioni con la scrittrice/prostituta del bar messinese; accenna un gesto di ribellione ma che redime subito dopo. La vastità dello sfondo, l'Etna che titanico si scontra contro lo scheletro di un palazzo che sovrasta la loro riappacificazione è la sequenza che precede quella di chiusura, le loro mani che si sfiorano.

Il film riflette con incredibile potenza visiva il disagio esistenziale della società borghese italiana approfondendo l'aspetto dell'incomunicabilità e dell'alienazione dei protagonisti. Naturalmente il disagio è descritto ricorrendo alle immagini, frutto di una costruzione ben definita che si rapporta continuamente con personaggi e spazio circostante, tanto da rendere i dialoghi superflui. Un capolavoro rinato.