Recensione Settembre (1987)

Perseguendo le unità aristoteliche di luogo e di tempo, Settembre rappresenta un interessante tentativo di contaminazione tra cinema e teatro, che contiene riferimenti sia filmici che letterari.

L'autunno dei sentimenti

Settembre è un piccolo film sperimentale, tra i meno conosciuti di Woody Allen. È un film che "ha vissuto due volte" perché rigirato dal regista newyorchese, che aveva giudicato insoddisfacente il primo risultato ottenuto riscrivendo il copione per adattarlo ai nuovi interpreti scelti. Viene, infatti, sostituita Maureen O' Sulivan, madre di Mia Farrow, ed Elaine Stritch diventa la madre della protagonista Lane (la stessa Mia), mentre Denholm Elliott cambia ruolo e passa a vestire i panni di Howard, vicino di casa di Lane; infine Sam Waterston raccoglie il testimone da Christopher Walken e Sam Shepard, che aveva preso il posto dell'attore de Il cacciatore dopo pochi giorni di riprese, nei panni dell'inquieto scrittore Peter. Ma veniamo alla trama del film.

Nella tenue, ma ancora calda, luminosità di fine agosto, si consumano gli ultimi giorni di vacanza per Stephanie (Dianne West) che ha trascorso un mese lontano dal marito e dai figli nella tenuta di campagna nel Vermont dell'amica Lane (Mia Farrow), una donna fragile e depressa che vuole vendere la casa per rifarsi una vita a New York. Dimessa nell'aspetto fisico così come nell'animo, minato dall'autocommiserazione, Lane soffre soprattutto per il rapporto conflittuale con la madre Diane, una ex-attrice ancora energica e brillante, che si è risposata con il fisico Lloyd (Jack Warden) e che si oppone quasi con brutalità all'appassimento della figlia. Il motivo di questa controversa relazione è presto svelato: sconvolta dalla separazione dei genitori, la quattordicenne Lane sparò e uccise l'amante della madre violento e manesco (la storia rievoca quella di Lana Turner e del gangster Johnny Stompanato), non riuscendo però a superare il senso di colpa e a vincere il rancore nei confronti della donna che aveva lasciato il padre tanto amato. Come se questo non bastasse, la giovane è innamorata di Peter (Sam Waterston), pubblicitario newyorchese, ospite per l'intera stagione estiva nella forestiera della casa di campagna con l'intenzione di portare a termine il suo tanto agognato primo romanzo sulla sopravvivenza. Ma se, in un primo tempo, Peter è rinfrancato dalle attenzioni di Lane, cedendo anche a una notte di passione in riva al lago, in seguito si invaghisce di Stephanie e pensa addirittura di scrivere le memorie di Diane. Nel frattempo, Lane non si accorge dell'amore che prova per lei il maturo vicino di casa Howard, premuroso professore di francese rimasto vedovo. Questa girandola di coppie, lontana dalla leggerezza di Una commedia sexy in una notte di mezza estate e affine al dramma intimista di Interiors, avrà la sua conflagrazione nell'arco delle 24 ore coperte dalla narrazione, e in particolare in occasione della mancata festa, bagnata da un forte temporale e attraversata da un improvviso blackout, durante il quale i veri sentimenti dei protagonisti emergono incontrollati: Howard confessa il suo amore non corrisposto a Lane, che tenta invano di ri-avvicinarsi a Peter, il quale però trascorre la notte con Stephanie, incapace di resistere alle proprie pulsioni di donna inappagata dal matrimonio come una moderna Emma Bovary.

Il mattino seguente, mentre mostra la casa agli acquirenti, Lane scopre Stephanie e Peter che si baciano; al danno si unisce poi la beffa: Diane rivendica parte della proprietà della tenuta per trasferirvisi con Lloyd. Lane si ribella alla decisione della madre perché ha un disperato bisogno di contanti per far fronte alle costose sedute psicoanalitiche e per ricominciare da zero a New York. Un doloroso segreto, che attanagliava da anni madre e figlia, viene così inaspettatamente alla luce davanti agli abitanti della casa. Diane, allora, non può che rassegnarsi e lasciare il Vermont con il marito, ottenendo una riconciliazione solo di facciata con la figlia. Stephanie riesce a non perdere l'amicizia di Lane, che medita il suicidio ma non riesce ad andare fino in fondo perché "ha sempre comunque voluto vivere".
L'ultimo movimento della macchina da presa completa in modo simmetrico la cornice che aveva aperto la pellicola: se nella prima inquadratura la cinepresa procedeva dall'ambiente ai personaggi (Stephanie e Howard), ora l'ultima scena abbraccia uno sguardo definitivo alla casa di Lane, ormai vuota, stendendo un velo sulle vicende dei protagonisti, sul tentativo di rinascita di Lane e sulla fine della relazione extra-coniugale di Stephanie, che abbandona Peter per tornare a Philadelphia dalla sua famiglia e dai suoi doveri di moglie e madre apparentemente felice. Settembre è ormai alle porte.

Perseguendo le unità aristoteliche di luogo e di tempo, Settembre rappresenta un interessante tentativo di contaminazione tra cinema e teatro, che contiene riferimenti sia filmici (le opere di Ingmar Bergman) che letterari (lo spunto di partenza si rintraccia ne Il giardino dei ciliegi di Anton Cechov), ravvisabili nel tentativo di Allen di scandagliare la natura universale dei rapporti inter-personali e delle emozioni umane, pur restando fedele ai propri motivi di fondo, come il contrasto arte/vita.
In Settembre, questo basilare dualismo si sviluppa nella struttura filmica, contrapponendo la realtà del mondo esterno con quella esclusiva, quasi fittizia, che viene ad auto-prodursi all'interno della tenuta, isolata non solo dal punto di vista spaziale, ma soprattutto spirituale. Una tenuta che costituisce a tutti gli effetti il settimo personaggio del film, grazie soprattutto alla ricostruzione operata dallo scenografo Loquasto negli Astoria Studios di New York della vera casa di campagna di Mia Farrow un unico set fatto di stanze contigue che diventa il palcoscenico sul quale si compiono le azioni dei protagonisti e, contemporaneamente, lo spazio profilmico nel quale si insinua fluida la mdp di Allen.

I dialoghi incessanti e accurati, la delicata gestione delle entrate-uscite dei personaggi dai locali e le frequenti riprese in piano sequenza rendono Settembre un'opera vicina alla tradizione del Kammerspiel, della pièce da camera, ma non per questo priva di intuizioni più prettamente cinematografiche, come il ricorso ai primi piani (che aprono finestre sulle fragilità e sulle debolezze dei personaggi) e l'attenzione per la fotografia che, curata da Carlo Di Palma, vira dai colori caldi dell'inizio (il giallo, l'arancione) al chiaro scuro dello svolgimento. La dimensione fotografica acquisisce così una forte valenza simbolica, perché sostiene l'altra forte dicotomia del film: la contrapposizione tra la luce e le tenebre, che l'interruzione dell'elettricità durante il temporale rende concreta anche sul piano degli eventi.

Per tutti questi motivi, Settembre è un film dotato di una ricercatezza formale e stilistica estrema, che sfiora però il manierismo, anche per la mancanza di ironia - se non nel personaggio della madre di Lane -, di naturalezza e di spontaneità che contraddistingue l'impianto fortemente teatrale della pellicola, che rimane crepuscolare, nostalgica e agro-dolce, ma che non tocca gli esiti raggiunti in altre opere amare come Hannah e le sue sorelle e Mariti e mogli.