Recensione Woochi (2009)

Definito come l''Harry Potter coreano', il blockbuster natalizio 'Woochi' è in realtà una mescolanza sregolata e disarmonica di svariati elementi, dall'action, al fantasy, passando per la commedia fracassona, interpretato dal divo coreano Gang Dong-won.

L'apprendista sbruffone

Il blockbuster natalizio di Choi Dong-hun, che ha totalizzato oltre cinque milioni di biglietti venduti in patria riuscendo perfino a tener testa alla corazzata Avatar, è stato definito dai commentatori occidentali come una sorta di Harry Potter in salsa coreana. In effetti il protagonista Jeon Woochi è un mago adolescente, anche se pratica incantesimi taoisti, ma le similitudini si fermano giusto qui. Non c'è proprio niente che possa accomunare l'introverso e diligente Harry con il teppistello ubriacone e capatosta protagonista di questo chiassoso e fluviale film d'azione. Le fonti di ispirazione di Woochi sono decisamente altre: non tanto le leggende e il folklore della tradizione asiatica, quanto i ben più moderni manga (o manhwa, per dirla alla coreana) e i videogames, rigorosamente indirizzati a un pubblico adolescenziale.

Come una pozione realizzata da una fattucchiera non proprio provetta, sbagliando nella composizione degli ingredienti, Woochi è una mescolanza eterogenea e strabordante di diversi elementi che poco si armonizzano tra di loro: film in costume, moderno action, fantasy ricco di effetti speciali, commedia fracassona per giunta condita da elementi romantici. Il protagonista è un apprendista stregone testardo e arrogante, imprigionato ben cinquecento anni fa da tre maghi taoisti perché accusato di aver ucciso il suo maestro. Ma, giunti ai nostri giorni, i tre santoni decidono di liberare Jeon Woochi e il suo fedele aiutante Chorangyi (un cane che però assume sembianze umane) con lo scopo di arginare l'invasione di un esercito di goblin. Come se non bastasse a ostacolare i loro piani ci si mette anche l'oscuro mago Hwadam, mentre Woochi sembra più interessato a correre dietro a un'avvenente donzella (interpretata dalla Lim Soo-jung di I'm a Cyborg, But That's OK), piuttosto che a fare il suo dovere.

Lo spettatore (almeno quello occidentale) è sbalestrato di fronte a una narrazione squilibrata e sfilacciata (i primi venti minuti sono un lungo flashback sulla storia di Woochi), che si protrae in interminabili scene d'azione straripanti di effetti speciali digitali, innestandoli senza soluzione di continuità con gag il cui umorismo lascia a volte interdetti. Gran parte degli effetti comici scaturiscono dal gioco degli anacronismi sulla falsariga di film come I visitatori: è il caso ad esempio dei tre maghi che evocano un incantesimo a distanza utilizzando il telefono cellulare, oppure di Woochi che inforca una moto da corsa vestito come Michael Jackson.

Anche sul piano visivo, le poche trovate interessanti (come i "dipinti animati" in cui finiscono imprigionati i protagonisti) sono soffocate da una computer graphic ridondante e in alcuni casi dal dubbio gusto estetico (ad esempio i goblin sono rappresentati come giganteschi conigli e ratti in armatura). Non si fa comunque fatica a immaginare come Woochi abbia potuto incontrare il favore del pubblico adolescente sudcoreano, stregato soprattutto dal carisma dell'attore protagonista, il fascinoso divo Gang Dong-won. Ma il resto degli spettatori stenterà a trovare il film "magico".