Guardando un film come Kursk, co-produzione tra Francia e Belgio ad alto budget (quaranta milioni di dollari) con un variegato cast internazionale, sarebbe pressoché impossibile ricondurre il regista del film, Thomas Vinterberg, all'enfant terrible che esattamente vent'anni prima, nel 1998, galvanizzava critici e cinefili di tutta Europa e, non ancora trentenne, si aggiudicava il Premio della Giuria al Festival di Cannes con Festen, corrosiva black comedy diventata un caso internazionale, nonché uno dei film manifesto del movimento Dogma 95.
Tra Festen e un'opera come Kursk, la distanza non potrebbe essere più abissale: perché se è vero che Vinterberg aveva rinunciato quasi subito ai dettami di Dogma 95, adottando uno stile più 'classico' per film come Il sospetto e La comune (e dedicandosi perfino alla trasposizione di un caposaldo della letteratura quale Via dalla pazza folla), fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile associare il cineasta danese a un progetto che si muove lungo binari tanto tradizionali, sia dal punto di vista tematico che nelle scelte di messa in scena.
Il disastro del sottomarino Kursk
Fra thriller catastrofico, survival movie e dramma di denuncia sociale, componenti equamente ripartite nella sceneggiatura di Robert Rodat (basata sul libro di Robert Moore A Time to Die), Kursk ricostruisce una delle vicende più clamorose e famigerate nella cronaca della Russia contemporanea: l'incidente del sottomarino nucleare russo K-141 Kursk, avvenuto il 12 agosto 2000 a nord della Norvegia, nel Mar Glaciale Artico, con centosette persone a bordo. Ad introdurre i protagonisti del dramma è un breve antefatto ambientato durante il ricevimento di nozze di uno di loro: un gioioso momento privato da cui emergono l'intenso legame e il sentimento di fraternità fra i membri dell'equipaggio.
Il resto del racconto, a partire dal momento dell'incidente, è suddiviso in varie linee narrative parallele. Da un lato, la suspense legata alla disperata lotta contro il tempo dei ventitré marinai sopravvissuti alle esplosioni verificatesi nel sottomarino, ma intrappolati in questa 'prigione' a centinaia di metri di profondità, sotto la guida di un personaggio di fantasia, il capitano-tenente Mikhail Kalekov, interpretato da Matthias Schoenaerst; dall'altro il calvario delle famiglie dei marinai, focalizzato quasi esclusivamente sulla giovane moglie di Mikhail, Tanya (Léa Seydoux), e sul figlioletto della coppia; e infine i frenetici contatti fra la marina britannica e quella russa, con il "braccio di ferro" a distanza fra l'ufficiale inglese David Russell (Colin Firth), desideroso di offrire il proprio contributo alle operazioni di salvataggio, e le autorità russe.
Thomas Vinterberg: il regista danese presenta Kursk alla Festa di Roma
Thomas Vinterberg fra suspense e invettiva politica
Se la sezione ambientata all'interno del sottomarino è quella caratterizzata da una genuina tensione, nonché dall'approccio più dinamico e interessante (si veda la lunga sequenza in apnea), in tutto il resto del film Thomas Vinterberg si adagia su un'impostazione paradigmatica e su un prevedibile schematismo di fondo: la denuncia contro le menzogne e l'ipocrisia dei vertici della marina, con la Tanya della Seydoux a fare da portavoce delle proteste della gente comune contro i soprusi dettati dalla "ragion di Stato", e il confronto impietoso fra la solidarietà mostrata dagli altri paesi e l'ostinato isolazionismo di una Madre Russia disposta a sacrificare i propri figli pur di non mostrarsi debole o inadeguata su un palcoscenico internazionale.
Conflitti e denunce, quelli appena indicati, che tuttavia Kursk porta avanti in maniera didattica e convenzionale, rifacendosi a un filone hollywoodiano ben preciso che oggi, però, rischia di risultare alquanto datato. Più che a una riflessione analitica, Vinterberg punta all'indignazione, e lo fa nella maniera più diretta: ad esempio, attraverso lo sguardo d'accusa rivolto da un bambino all'indirizzo del leggendario Max von Sydow, qui chiamato ad incarnare la maschera rigida e sprezzante di un potere che ha ormai perso di vista il valore dell'umanità e che, pertanto, è destinato a non essere più riconosciuto dalle future generazioni.
Conclusioni
Opera per molti versi anomala nell'itinerario del regista danese Thomas Vinterberg, realizzata due anni prima dell'acclamato Un altro giro, Kursk rientra appieno nel filone dei drammi ad alta tensione con un risvolto di denuncia politica, con un approccio narrativo che guarda al cinema hollywoodiano; ma proprio la prevedibilità e l'eccessivo schematismo del film rischiano di diminuirne l'impatto presso il pubblico.
Perché ci piace
- L'efficace gestione della suspense nella ricostruzione della lotta per la sopravvivenza dei protagonisti.
- L'apporto di un cast variegato e funzionale, a partire dal protagonista Matthias Schoenaerts.
Cosa non va
- Un taglio fin troppo tradizionalista, tanto a livello tematico quanto sul piano della narrazione.
- La sensazione di assistere a un'opera assai meno 'personale' se confrontata al resto della filmografia di Thomas Vinterberg.