Kubra, la recensione: Fede e religione per una buona serie turca

La recensione di Kubra: tratta dal romanzo di Afsin Kum, la serie con Çağatay Ulusoy si interroga su chi siano oggi i veri profeti. Otto episodi su Netflix.

Kubra, la recensione: Fede e religione per una buona serie turca

Com'è che cantava Ligabue in Hai un momento, Dio?. Ecco, guardando ad un certo tipo di narrativa, a metà la graphic novel e il romanzo (è infatti tratta dal libro di Afsin Kum), gli otto episodi di Kubra si sviluppano orizzontalmente, andando subito dritto al punto. Una chiave di lettura interessante, che si addice ad un linguaggio seriale capace di incuriosire lo spettatore. Niente di esplosivo, sia chiaro, ma la serie turca, sviluppata dallo stesso Kum, e diretta dai fratelli Taylan, riesce a catturare il pubblico, alla ricerca di una storia antologica da vedere in modalità binge-watching.

Kubra Netflix Review
Kubra: Çağatay Ulusoy in una scena della serie

Dall'altra parte, Kübra, si lega alla scelta editoriale di Netflix legata all'esportazione di prodotti internazionali (in questo caso provenienti della Turchia), mostrando l'ambizione di certi territori. Ecco, per temi, Kubra, pur arrivando da un romanzo, è continua alla nostra Christian (due stagioni su Sky), tanto per temi quanto per colori. In qualche modo, anche nella struttura visiva del protagonista. Funziona? Funziona nell'ottica di una serie che, come può, mantiene alto il livello d'attenzione, stimolando la sceneggiatura (e quindi il pubblico) con una domanda emblematica: crederci o no?

Kubra, la trama: un nuovo Profeta?

Nello specifico, però, in cosa dovremmo credere? In una Istanbul notturna e fumettosa, troviamo Gökhan (Çağatay Ulusoy, che un ruolo similare lo aveva affrontato nella serie The Protector), alle prese con una vita stravolta. Durante la militanza nell'esercito è riuscito a sopravvivere miracolosamente ad un attacco. Ha salvato due volte un bambino (altro miracolo) e porta con sé un certo stress. Stress e pressione acuiti dalle notifiche sul cellulare, che sembra non dar lui tregua. Chi gli scrive? Attraverso un ipotetico social network, viene contattato da un utente di nome Kubra. Gli manda messaggi strani, criptici. Merve (Aslihan Malbora), la compagna di Gökhan, gli consiglia di chiedere in modo esplicito chi sia.

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Kubra: Çağatay Ulusoy nella serie Netflix

Tuttavia, da Kübra, arrivano solo frasi estemporanee, che però si legano alla vita dell'uomo e, soprattutto, hanno riverberi religiosi. In Gökhan, dunque, sale un'idea impossibile: a scrivergli è... Dio. Questo spiegherebbe come è riuscito a salvarsi dall'attacco, sentendo addosso il peso dell'eletto. Quando gli altri cominciano a sapere di Gökhan, si crea una frattura: molti lo reputano un impostore, altri invece gli credono fortemente (Dio, o chi per lui, tramite messaggi, spiega a Gökhan come portare la Fede nel mondo). Ma se le domande si susseguono, incastrandosi poi in un annunciato "pericolo" che tiene banco, perché Dio avrebbe scelto Gökhan come nuovo Profeta?

La luce divina? Lo schermo di un telefono

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Kubra: una scena della serie Netflix

In verità, ciò che potrebbe essere meno memorabile di Kübra è proprio il finale (oltre diversi momenti che perdono l'abbrivio). Non ve lo riveliamo, ci mancherebbe, ma nelle otto puntate (circa 45 minuti l'una), è facilmente intuibile il punto scelto dagli autori, costruendo una tensione solo apparente intorno ad un Profeta strettamente contemporaneo. Intuibile, perché potrebbe essere l'unico finale possibile rispetto ad una serie pensata per raccontare, più che stupire, mettendo al centro un uomo tormentato. Ma anche uomo contraddittorio, nonché moderno nella struttura. Struttura che si aggancia allo sguardo estetico, come detto legato ad una messa in scena vicina ai toni del fumetto, giocando con il verde e il nero. La fotografia viene sottolineata dal bagliore del display del telefono di Gökhan, in quanto nelle scene è quasi sempre l'unico punto di luce.

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Kubra: crederci o no?

Una scelta precisa, e metaforica: oggi, le voci che ascoltiamo provengono quasi esclusivamente da internet. Un mondo nel mondo, dove si accumulano milioni di punti di vista differenti. La luce, in questo caso, è metaforica perché la divinità postmoderna è legata alla tecnologia, perennemente connessa. Insomma, la luce divina, ora, tiene a sé un significato molto più stratificato: siamo noi che scegliamo i nostri Profeti, siamo noi che scegliamo da che parte stare. Non vi stiamo dando un indizio, bensì è una lettura rispetto alla storia di Kubra, che coltiva in sé una chiara dichiarazione globale: se nessuno rimedia più ai proprie errori, è necessario ripartire da una Fede interiore (quella a cui resta aggrappato Gökhan), più legata all'umanità (e all'empatia) e, forse, meno legata ai dogmi della religione stessa.

Conclusioni

Credere o non credere? Kubra, otto episodi su Netflix, con protagonista la star turca Çağatay Ulusoy, si interroga sul valore della Fede, contrapponendola ai dogmi della religione. Un espediente narrativo interessante, che accompagna gli spettatori verso un finale forse scontato ma, probabilmente, l'unico a disposizione.

Movieplayer.it
3.0/5

Perché ci piace

  • Çağatay Ulusoy è un buon protagonista.
  • La storia principale.
  • L'uso dei colori.

Cosa non va

  • Non tutte le puntate girano al meglio.
  • Il finale potrebbe dividere.