Appena un anno fa un bellissimo film francese, Dopo l'amore di Joachim LaFosse, ci immergeva nella drammatica quotidianità di una famiglia "separata in casa", illustrando con sorprendente naturalismo le innumerevoli sfumature, tra affetto e conflittualità, nel rapporto fra due coniugi ormai in rotta (un rapporto in cui erano coinvolte anche le due figlie gemelle della ex coppia).
Un'operazione per molti aspetti affine è quella intrapresa da Jusqu'à la garde, che sceglie un punto di partenza più o meno analogo: quest'ultimo film, però, si apre con il divorzio appena certificato dei due protagonisti, per poi soffermarsi invece sulle dinamiche spesso complicate legate all'affidamento congiunto e alle tensioni residue fra un uomo e una donna che, fino a poco tempo prima, erano stati marito e moglie.
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Frammenti di un matrimonio
Jusqu'a la garde costituisce il primo lungometraggio da regista di Xavier Legrand, attore teatrale passato di recente dietro la macchina da presa; e dopo la candidatura all'Oscar quattro anni fa per il corto Avant que de tout perdre, Legrand ha avuto il merito di essere stato selezionato già per la sua opera prima nel concorso ufficiale della 74a edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un esordio incentrato su un tema, la disgregazione dell'unità familiare, molto presente nel cinema francese contemporaneo; e se Legrand, almeno a giudicare dalle prime sequenze, sembra attenersi alla tradizione del filone di riferimento, la scelta di un approccio equilibrato e rigoroso mostra fin da subito la notevole abilità di narrazione e messa in scena di un autore (sua anche la sceneggiatura) che potrebbe imporsi fra i registi emergenti da tenere d'occhio da qui ai prossimi anni.
E l'approccio di Legrand svela una precisa cifra stilistica fin dall'eccellente scena d'apertura: l'udienza al cospetto di un giudice degli ex coniugi Myriam (Léa Drucker) e Antoine Besson (Denis Menochet), accompagnati dai rispettivi avvocati, per dibattere a proposito dell'opportunità di concedere o meno ad Antoine l'affidamento congiunto del figlio secondogenito della coppia, l'undicenne Julien (Thomas Gioria). La lettura, da parte del giudice, della deposizione di Julien, il dolore evidente sui volti dei due genitori contrapposto alla fredda professionalità degli avvocati: a Legrand bastano poche inquadrature fisse e un semplice meccanismo di campi e controcampi per riempire l'atmosfera di una tensione palpabile. Una tensione destinata a crescere nelle successive sezioni del film, con la cronaca di quei weekend tra padre e figlio su cui grava inevitabilmente il peso dei conflitti irrisolti dei due genitori.
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Dopo l'amore, la violenza
Affidandosi a un registro di crudo realismo, basato sui piccoli gesti, sui dettagli di un volto o sull'intonazione di una frase, Xavier Legrand ci trasmette con spiazzante vividezza il groviglio di sentimenti contrastanti dei quattro componenti di questo nucleo familiare in crisi: oltre a Julien c'è infatti pure sua sorella Joséphine (Mathilde Auneveux), ormai a un passo dalla maggiore età ma comunque coinvolta nella "guerra a distanza" fra il padre e la madre, e che affida la propria sofferenza alle note di Proud Mary di Tina Turner. Attorno a tutti loro, poi, un nugolo di parenti, amici e fidanzati, testimoni in un modo o nell'altro dell'esplosione di questo microcosmo, i cui frammenti difficilmente saranno in grado di ricongiungersi.
In un'opera di indubbia forza emotiva, a colpire in particolare sono i confronti fra il coriaceo e irruento Antoine e il piccolo Julien, diffidente ed ostile verso il padre: e se Ménochet e la Drucker regalano entrambi ottime prove d'attori, il giovanissimo Thomas Gioria è un'autentica rivelazione, nonché uno degli ingredienti chiave della riuscita del film. Un film che si fa apprezzare moltissimo nella prima parte, per i motivi già elencati, ma che in prossimità del finale prende una brusca virata narrativa (di cui preferiamo non svelare troppo): una virata che conferisce alla pellicola un'ulteriore dose di intensità, con un epilogo addirittura scioccante, ma che probabilmente impatta sulla complessità del racconto, privilegiando un più ordinario schematismo nella descrizione dell'atroce violenza consumata fra le pareti domestiche.
Movieplayer.it
3.0/5