Jonathan Demme: a Roma 2013 un regista dal cuore indie

Ha diretto film indimenticabili. Ha lavorato con Neil Young, David Byrne, Enzo Avitabile. La sua nuova sfida è il teatro, ma il poliedrico regista non sembra pago di sperimentare.

Ha fatto grandi film sperimentando quasi tutti i generi. Ha contribuito alla rinascita del documentario e ha inventato nuovi modi per filmare la musica. Oltre a essere un grande cineasta, Jonathan Demme è un uomo gentile, appassionato e pieno di calore che si racconta con generosità e non esita a balzare giù dal palco dell'Auditorium sfidando la folla romana per salutare Enzo Avitabile e gli altri amici italiani conosciuti durante la lavorazione di Enzo Avitabile Music Life. Nel lungo incontro romano Demme ci racconta i suoi esordi nel cinema indie, il passaggio ai film big budget, la passione per la musica, per il documentario e la lezione appresa dal suo maestro, il mitico Roger Corman.

Jonathan, per un autore della tua esperienza è più importante raccontare cose importanti o trasmettere la passione per la matertia cinema attraverso le immagini?
Jonathan Demme: Ho riflettuto molto sulla natura della narrazione e devo dire che se non hai una storia forte, allora sei nei guai. Tutti coloro che contribuiscono a un film raccontano una storia, tutti, dal tecnico del suono al reparto costumi, sono narratori. Il piacere di fare cinema c'è in ogni caso, ma alla base di tutto c'è la storia.

Tu sei uno dei registi più consapevolmente politicizzati e hai avuto un maestro come Roger Corman il cui cinema, dietro l'aspetto giocoso del genere, ha un'idea politica molto precisa. Come è nata la vostra collaborazione?
Quello con Roger Corman è stato uno di quegli incontri che segnano la vita. Roger doveva fare un film per United Artist, Il barone rosso, e cercava un addetto stampa. Io che avevo visto tutti i suoi film ho decisi di presentarmi di fronte a lui. Roger lesse le cose che avevo scritto e mi disse: "Ok ti do il lavoro, ma tu scrivi molto bene. Avresti voglia di scrivere una sceneggiatura?" Dissi di sì e, insieme a un mio caro amico,scrissi il copione che poi gli consegnai. La storia gli piacque e e pochi giorni dopo ci portò con sé a Los Angeles. Io mi occupai della produzione del film e anche se il ruolo non mi piaceva accettai perché ero entusiasta all'idea di fare cinema.

Cosa hai scoperto filmando il teatro in Fear of Falling?
Quella a Roma sarà la premiere mondiale del film che è un progetto davvero ambizioso. E' stato davvero difficile portare il cinema a teatro. Ibsen ha scritto Il costruttore Solness come reazione all'ascesa di Strindberg, che si stava prendendo tutta la scena. A un certo punto ho ricevuto una telefona da Andre Gregory, un gigante del teatro, che mi invitava a vedere la messa in scena del dramma a cui lavorava da tempo per capire se filmarlo. Non ho capito fino in fondo lo spettacolo, ma mi ha sconvolto e commosso. Gli attori, straordinari, lavoravano alla pièce da dieci anni. Però, l'opera, doveva diventare cinematografica così nella preparazione Andre ha dovuto cambiare molte cose del proprio lavoro. E' il film più audace che io abbia mai fatto, ho realizzato un film vero e proprio che celebra il teatro.

Nel film c'è un aspetto da racconto gotico che colpisce il pubblico.
E' vero. Nel mondo dei film low budget ho imparato che i film meno costosi sono gli house pictures, film girati in un interno. Una delle prime cose che Roger Corman mi ha detto sul set è stata: "Quando giri in interni, scegli una cosa con corridoi molto lunghi perché percorrerli è una delle cose che fa più paura al cinema". Così abbiamo provato ad applicare la regola nel nostro caso. Però sono anche debitore di Louis Malle e della sua idea di filmare il teatro. Malle che mi ha insegnato così tanto e Fear of Falling è dedicato a lui. Ovviamente non volevo fare qualcosa di già visto perciò ho reinventato un linguaggio, ma con Malle in mente.

Dopo il tuo grande successo a Hollywood hai deciso di tornare alla radici indipendenti volgendo le spalle alla grande industria. Come mai questa scelta?
Quando si parte come regista indie si ha l'impressione di poter gestire meglio la propria crescita e i grandi budget. Quando mi sono ritrovato a fare film per i grandi studios mi è successo qualcosa, quando ti arrivano così tanti soldi, se hai capito come stanno le cose, sai che dovrai sostenere una responsabilità sempre maggiore. Io a un certo punto non avevo più voglia di affrontare questa responsabilità e ho cominciato a chiedermi se è giusto spendere così tanti soldi per un film. Quando ho visto Napoleon Dynamite sono rimasto stupito dall'originalità e mi sono chiesto se avevo imparato così tanto nella vita da fare un film così bello e originale con un piccolo budget. Sono un fan del Dogma, del Neorealismo, della Nouvelle vague, per me i documentari sono una specie di droga, perciò ho capito cosa mi piace davvero. Girare rapidamente con piccoli budget, lavorare in tv, queste sono le cose che mi attraggono. In Fear of Falling giravamo 27 pagine al giorno e ho chiamato Roger per dirglielo. Non ci credeva neppure lui.

L'altra tua grande passione, oltre al cinema, è la musica. Quale è il tuo punto di vista nell'uso della musica al cinema?
Io adoro la musica, tanto che mia moglie è preoccupata da quanta musica consumi e da quanto sia vasta la mia collezione. Il cinema può dare un nuovo senso alla musica e la musica può arricchire e abbellire le immagini. Anche l'assenza della musica è una scelta deliberata. Nel caso di Qualcosa di travolgente è stata la prima volta che ho lavorato con una straordinaria musicista e insieme abbiamo deciso di usare solo musica di repertorio. Alla fine del montaggio però mi sono reso conto che c'erano un paio di scene che richiedevano musica, ma non trovato il pezzo giusto. Allora ho invitato Laurie Anderson e John Cale a comporre qualcosa di originale. Per Fear of Falling abbiamo trovato musiche originali dell'epoca di Ibsen e le abbiamo reinventate. Un'esperienza che mi ha arricchito moltissimo è anche quella che ho vissuto con Enzo Avitabile. Abbiamo trascorso una settimana a Napoli insieme per lavorare. Pensavo di aver girato un film su Enzo e su Napoli, ma Enzo Avitabile Music Life è ben altro e me ne sono reso conto vedendolo a New York. Il vero tema del film riguarda gli strumenti musicali, le persone che li suonano e la fusione tra i vari strumenti.

Parlando di musica non possiamo dimenticare il tuo rapporto con Neil Young, un musicista che applica la regola del low budget al rock.
Neil è un perfezionista, ma è anche un amante della sperimentazione. Una volta ha invitato Willie Nelson a sentire il suo ultimo disco prima dell'uscita. Dopo averlo ascoltato, Willie ha detto: "E' molto buono, quando avrai ultimato il missaggio e sarà pronto sarà bello". E Neil ha risposto: "E' già pronto". E' bellissimo lavorare con lui perché ha una visione personale. Ora sta lavoravano a un documentario che vuole dirigere. Ha acquistato una Lincoln gigantesca che consuma un sacco di benzina. Lui desiderava questa macchina, ma è un ambientalista e quindi per 5 anni ha lavorato con tecnici ed esperti per trovare una soluzione.

E la tua collaborazione con David Byrne com'è andata?
Prima di girare Qualcosa di travolgente ero stato licenziato da un film con Goldie Hawn perché non volevo cambiare lo script seguendo le modifiche imposte da Goldie. Per me è stata un'esperienza devastante, non sapevo se volevo continuare a fare il regista. In quel periodo sono andato a vedere un concerto dei Talking Heads e ne sono stato rapito perciò ho proposto a David Byrne di lavorare insieme. Come Neil, Anche David è molto cinematografico perciò mi è stato di grande ispirazione.

Oggi Hollywood punta molto sui supereroi. Ti è mai stata fatta un'offerta per dirigere un blockbuster?
No, non mi è mai capitato. Da un po' di tempo sto sviluppando un progetto intitolato Zaytoun, che si basa su un libro di Dave Eggers e racconta una storia vera. Un uomo che a New Orleans, subito dopo l'Uragano Katrina, ha salvato molte persone. Purtroppo il suo aspetto orientale ha fatto sì che la polizia lo fermasse e lo facesse sparire per mesi. E' tornato dopo molto tempo, grazie all'impegno della moglie e delle associazioni per i diritti umani. Purtroppo trovare finanziamenti negli Usa per parlare di "mussulmani buoni" non è facile, ma finalmente ci siamo quasi.