Per poter fare un'analisi di Joker bisogna partire da una premessa ben precisa e accertata: il film di Todd Phillips, fresco vincitore del Leone d'oro all'ultima Mostra del cinema di Venezia, mette in scena una storia completamente originale, senza nessun riferimento a un comic preciso, senza influenze date da film ed interpretazioni precedenti. Come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione di Joker questo film, pronto a rivoluzionare i canoni dettati dai cinecomic per come li conosciamo, non ha regole e può quindi far esprimere liberamente, e in modi diversi, il suo protagonista. Il fatto che Joker sia figlio di una storia completamente originale e senza vincoli, ha fatto sì che potesse aggrapparsi ad un genere e una modalità di espressione utilizzate in maniera innovativa in questo cinecomic autoriale: il musical e la danza.
Quella di Joker è la genesi di quella che sarà poi la nemesi di Batman, ambientata in una Gotham allo sbando degli anni '80: un uomo, Arthur Fleck, con una mimica incontrollabile e mentalmente disturbato, messo ai margini della società, impossibilitato a realizzare se stesso e a rientrare nei canoni di una società, prevalentemente composta da l'élite, che fa di tutto per non accettarlo.
La danza che tende al desiderio e rompe con il quotidiano
Il processo che compie Arthur Fleck nel diventare Joker è mosso dal desiderio di libertà, di essere svincolato da qualsiasi restrizione gli venga imposta e di essere in grado di comunicare attraverso la danza, il metodo di espressione (e di socializzazione) più antico. Una modalità espressiva in cui, quando il passo si trasforma in danza, tutto diventa possibile e il contrario può finalmente avverarsi. La danza è l'espressione del vero io, di quello più profondo e radicato, usa il corpo come uno strumento, come veicolo terzo di espressione del desiderio. Per Arthur, quest'arte non è altro che una manifestazione del suo desiderio di socializzazione, di appartenenza alla comunità, ma anche della volontà di essere accettato per come è la sua natura. Una danza, la sua, che va oltre la quotidianità, una lingua che diventa individuale e solipsistica, l'espressione di una forma di armonia.
E non è un caso che, in una scena del film di Todd Phillips, Arthur si trovi una in sala cinematografica dove viene proiettato Tempi moderni e non è un caso che venga mostrata proprio la scena in cui Charlot danza sui pattini. Perché Charlie Chaplin è stato il primo a unire il ballo con la fantasia e lo ha già dimostrato nel suo La febbre dell'oro con la celebre danza dei panini. Chaplin ha sempre fatto della danza il suo veicolo di espressione: non importa il tecnicismo o la perfezione esecutiva, ma il valore metaforico che assume ogni passo, un movimento che soppianta completamente la parola, l'espressione verbale.
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Aggrapparsi al musical ed evadere dalla realtà quotidiana
Nel corso della storia del musical cinematografico, la danza è sempre stata la forma di espressione principale, ben prima che il cinema si convertisse al sonoro. Così come la presenza di Charlie Chaplin, non è un caso che il Joker di Joaquin Phoenix si trovi a guardare alla televisione un film di Fred Astaire, colui che ha fatto della danza un'allegoria della libertà, colui che sapeva far ballare chiunque, compreso Arthur. Colui che ha insegnato come, in realtà, una danza pianificata e ben studiata sia la forma migliore di libertà, come i passi compiuti da Arthur nel diventare Joker.
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Perché Fred Astaire, performer di punta della RKO degli anni '30, era il protagonista di quei musical che avevano come obiettivo primario quello di far sognare il pubblico, di farlo evadere dalla realtà quotidiana: un obiettivo che è lo stesso di Arthur, che dalla conciliazione con la società, segue la strada della riconciliazione con il suo sé, come se ci fossero da una parte Arthur e dall'altra Joker che, insieme, diventano protagonisti di sequenze coreutiche in una Gotham tormentata e sgraziata. L'espressione del vero io di Arthur viene mostrata sullo schermo con la macchina da presa a servizio della danza, con la volontà di lasciare il protagonista libero di esprimere la sua vita non più come una tragedia, ma come una commedia, libero di essere l'alternativa alle regole del gioco imposte dall'élite di Gotham, quella carta che va contro a re, regine e fanti e che è in grado di cambiare le prospettive. In grado di mettere insieme le potenze del falso realizzando il reale, di unire l'apparenza e la finta appartenenza sociale per vivere una realtà completamente opposta da quella che una certa classe sociale vorrebbe che fosse.
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