They don't care as long as there is a jester, just a fool/ As foolish as he can be/ There's always a joker, that's a rule/ But fate deals the hand and I see/ The joker is me
È una sigla à la Looney Tunes ad introdurre il cortometraggio d'animazione che funge da apertura a Joker - Folie à Deux. Firmato da Sylvain Chomet, regista francese noto per il celebre Appuntamento a Belleville, questo prologo animato costituisce già di per sé una palese dichiarazione d'intenti: dai poster di musical classici sulle pareti del backstage di uno studio televisivo alla performance di questo Joker cartoonesco, interrotta dall'irruzione di agenti di polizia che si avventano su di lui per picchiarlo selvaggiamente. Da un lato l'omaggio a una tradizione dell'entertainment risalente a circa mezzo secolo fa; dall'altro una brutale rappresentazione della violenza come istinto endemico della società contemporanea, già tema portante del Joker del 2019: una contaminazione al cuore del nuovo film di Todd Phillips, sequel bizzarro - e per nulla scontato - dell'opera che cinque anni fa si era rivelata uno dei maggiori fenomeni cinematografici del decennio.
The joker is me: un dramma carcerario a ritmo di musical
Realizzato nel pieno dello sfruttamento della cosiddetta intellectual property della DC Comics, Joker aveva sorpreso la platea della Mostra di Venezia per l'originalità con cui declinava l'iconografia di Gotham City secondo certi stilemi del cinema della New Hollywood, a partire da Taxi Driver di Martin Scorsese; da lì in poi, il film si sarebbe guadagnato il Leone d'Oro a Venezia e due premi Oscar, incluso il trofeo per l'intenso protagonista Joaquin Phoenix, e sarebbe andato incontro a un successo di pubblico clamorosamente ampio e trasversale, con centoventi milioni di spettatori e un miliardo di dollari d'incasso. Un trionfo, seppure non plebiscitario (il Joker del 2019 si era attirato anche numerose critiche), che questo sequel non sembra affatto interessato a inseguire: a partire dalla scelta di non replicare la "formula vincente" del predecessore, optando piuttosto per un singolare ibrido fra i toni del thriller psicologico e i canoni di un genere assolutamente agli antipodi quale, appunto, il musical.
Anche in tal senso, tuttavia, l'operazione messa in atto dal regista e sceneggiatore Todd Phillips è quanto mai lontana dalla semplice rievocazione di determinati modelli della Hollywood del passato, e si assume un tasso di rischio decisamente maggiore rispetto al film precedente. Se infatti Joker sembrava voler rileggere gli scorsesiani Taxi Driver e Re per una notte come il canovaccio di una nuova origin story dedicata al super-villain di Batman, Joker - Folie à Deux non si rifà in maniera altrettanto rigorosa a una specifica fonte d'ispirazione: riparte laddove si interrompeva il capitolo iniziale, l'internamento di Arthur Fleck nell'istituto psichiatrico Arkham Asylum, e da lì in poi sviluppa un prison-movie che recupera elementi e suggestioni del musical classico, in primo luogo quello hollywoodiano della Golden Age, ma senza disdegnare pure influenze ulteriori, dai Carpenters di (They Long to Be) Close to You ai Bee Gees di To Love Somebody, passando per una fugace citazione de Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy.
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That's entertainment: il palcoscenico di Joker e Lee
Ciò nonostante, sarebbe comunque difficile accostare Joker - Folie à Deux a un progetto per certi aspetti analogo quale La La Land di Damien Chazelle, altra rivisitazione del musical classico secondo una sensibilità contemporanea. Se l'obiettivo primario di Chazelle era restituire l'incanto proprio di quel cinema nel segno di un romanticismo venato di malinconia, in Joker - Folie à Deux l'inserto dei numeri musicali è funzionale all'esplorazione della psicopatologia di Arthur, la cui maschera dolente e grottesca torna ad essere incarnata da un magnetico Joaquin Phoenix. Da qui lo stridente contrasto su cui è imperniato il sequel di Todd Phillips: l'eleganza senza tempo degli standard dell'American songbook, manifesti della passione amorosa (Bewitched, Bothered and Bewildered, I've Got the World on a String) o di una raggiante joie de vivre (Get Happy, That's Life), viene ricontestualizzata in una cornice di raggelante cupezza e affidata a un antieroe votato all'autodistruzione.
La dimensione sognante propria del musical hollywoodiano, con particolare riferimento al cinema di Vincente Minnelli, viene ripresa sotto forma del daydreaming che porta alla scissione tra Arthur Fleck, sottoposto agli abusi dei suoi carcerieri e processato per omicidio plurimo, e il suo ghignante alter ego. Laddove la musica irrompe nell'esistenza di Arthur, vediamo dunque Joker esibirsi davanti ai riflettori in una realtà alternativa, ricalcata sull'immaginario dello show business americano: i musical di Vincente Minnelli (Un americano a Parigi, Spettacolo di varietà) e di Bob Fosse (Sweet Charity, Chicago), i buffoneschi varietà televisivi degli anni Sessanta e Settanta e la presenza di Harleen Quinzel, detta Lee, a cui presta volto e voce la popstar Lady Gaga.
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True love will find you in the end: l'ultima risata?
Groupie adorante, visione salvifica, potenziale partner in crime o diabolica doppelgänger al femminile? Il film non scioglie l'enigma di Lee Quinzel (o Harley Quinn), puntando invece sull'ambiguità di una comprimaria non perfettamente a fuoco. "The world is a stage/ The stage is a world of entertainment", canta la Lee di Lady Gaga sulle note di That's Entertainment!, ideale manifesto poetico di Joker - Folie à Deux. Numero di punta nel 1953 di Spettacolo di varietà di Minnelli e in seguito fra le punte di diamante del repertorio di Judy Garland, That's Entertainment! esprime al massimo grado la compenetrazione fra palcoscenico e vita vissuta, la necessità di mettere in scena se stessi secondo le regole dello spettacolo: non soltanto una forma di escapismo, ma l'essenza stessa del protagonista.
Non a caso, a sancire il punto di svolta del film è il momento in cui Fleck, in tribunale, a sorpresa rinnega Joker: è il preludio all'addio inesorabile di Lee (che esiste solo in funzione del suo alter ego) e alla riappropriazione identitaria di Arthur ("I don't care what you say anymore, this is my life", canta Billy Joel dall'autoradio). Si apre perfino un barlume di speranza, sintetizzata non più dagli standard dei musical hollywoodiani, bensì attraverso il cantautore Daniel Johnston e la sensibilità inquieta dei suoi versi: "Don't be sad, I know you will/ But don't give up until/ True love will find you in the end". Una speranza che rimarrà accesa almeno per il breve spazio di una canzone, prima di un ultimo, beffardo scherzo della sorte. That's life!