Il primo Joker di Todd Phillips rappresenta l'unico e più grande successo della DC a guida Walter Hamada. Una storia d'origini di uno dei più grandi e amati villain del fumetto (ma anche del cinema) sotto forma di cinecomic d'autore, lontano dallo spettacolo in CGI del MCU e dalla disastrata continuity dell'ormai defunto DCEU, il tutto con un budget di neanche 100 milioni di dollari.
Una trovata brillante che ha permesso al film di superare la tanto agognata meta del miliardo di dollari al boxoffice mondiale, anche se non è servito a impedire una nuova e più importante ristrutturazione ai vertici DC Studios, con la sostituzione di Hamada con James Gunn e Peter Safran, un duumvirato di cui si aspettano impazientemente i primi risultati in termini di qualità e incassi. Per l'avvio vero e proprio del DC Universe cinematografico di Gunn bisognerà attendere l'estate del 2025, ma intanto ad ottobre uscirà in sala Joker: Folie à Deux, che già di per sé ha davvero tanto da dover dimostrare, innanzitutto l'effettiva necessità di un sequel. Un prodotto che, almeno in apparenza, sembra settare degli standard concettuali davvero molto elevati e che, proprio per questo, ha il compito di mantenere determinate - benché tacite - promesse fatte sicuramente a sé stesso ma anche al grande pubblico. Quali sono questi impegni e da cosa nascono? Proviamo a vederli insieme.
Evadere da genere
Nel presentarlo con orgoglio in concorso alla prossima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, in programma al Lido dal 28 agosto al 7 settembre, il direttore artistico del festival, Alberto Barbera, ha così descritto Joker: Folie à Deux: "Uno dei film più coraggiosi del cinema americano di oggi". A dirla tutta, già nel 2019 il primo capitolo della storia di Arthur Fleck era stato osannato da molti come una rivisitazione autoriale del cinecomic destinata ad allentare la presa sull'esigenza di trasporre a tutti i costi l'elemento fumettistico sul grande schermo, dando di conseguenza validità effettiva al contenuto, al concept, a un'idea di assoluta non appartenenza di un personaggio che può essere tutto e può essere niente. Soprattutto, il Joker - come tantissimi alti eroi o villain del fumetto - può avere una sua dignità cinematografica esaltata direttamente nel medium di destinazione e non da quello di primo riferimento. Se in sostanza il grande schermo è il mezzo artistico scelto, punto d'approdo del personaggio, allora è bene sfruttare il cinema a tutto tondo, citarlo, richiamarlo, creare un lungometraggio che sappia di cinema anche se il protagonista ha gloriosi natali fumettistici. Intendiamoci: se una volontà produttiva cerca il mainstream tout court, lo spettacolo e il divertimento per un intrattenimento più leggero e che abbia al suo interno quel tipo di elementi nativi del comics, allora è bene soppesare determinate sovversioni e guardare anche a quel medium.
Il Joker di Phillips è stato però pensato per contenere e veicolare una grande critica sociale, sfruttando il Clown Criminale DC per raccontare uno spaccato paurosamente attuale della modernità, dei media (cosa molto cara a Frank Miller, ad esempio), dell'alienazione metropolitana, dello stigma della malattia mentale. Normale guardare e ispirarsi allora al cinema di Martin Scorsese, a qualche noir anni '70, all'espressionismo tedesco di Paul Leni. E in tal senso, arrivando a Folie à Deux, nel sequel sembra tornare ed esistere ancora, persino più forte di prima, questa volontà autoriale di utilizzare nuovamente e con ancora più forza il cinema per addentrarsi più a fondo nella psiche di Arthur Fleck. A cambiare sono in realtà i riferimenti; o per meglio dire, se ne accumulano di nuovi. L'evasione positiva (intesa come ricercata) dal genere cinecomic è dunque ancora in atto e, anzi, cerca questa volta di sfruttare uno dei generi più identitari della Settima Arte, che è il musical.
In chiave sì teatrale ma anche immaginifica, che sappia andare oltre la realtà descritta e insinuarsi nell'inconscio dei protagonisti in chiave fantasiosa e onirica. Ed ecco allora Cantando sotto la pioggia e La La Land ma anche - come già detto altrove - Sucker Punch, che parlano in effetti e ancora di evasione tanto dalla società quanto da se stessi, da un ruolo o da un destino prestabilito. È ancora il cinema a insediarsi nel fumetto e non viceversa, e già solo questo di per sé definisce il senso stesso dell'esistenza di Joker: Folie à Deux, nobilitandolo non di poco in termini artistici e tratteggiandone il valore cinematografico.
Ribaltamento
Sempre Barbera ha parlato del sequel come di "un film più cupo, diverso, che è riuscito a lasciare me e tanti altri a bocca aperta". Guardando il full trailer di Joker: Folie à Deux è possibile notare - almeno in apparenza - una certa continuità stilistica (e dunque non solo concettuale) con il precedente capitolo. La Gotham anni '70 è ancora lì, a stagliarsi come un feroce e famelico gigante urbano sulle vite frenetiche delle piccole e insignificanti persone che la abitano, ed è ancora lì il malessere che trasuda dalle strade, dalle urla, dagli sguardi, dalle televisioni. Se il primo film voleva però addentrarsi nello straniamento psicologico dato dalla solitudine e da un condizione sociale sfavorevole (al di là di ogni possibile critica morale che gli si possa muovere), qui l'obiettivo è ribaltare la situazione per confermare il passato. Come? Utilizzando l'unione, l'amore, l'altro come ancora di salvezza. Tramite il confronto può arrivare una realizzazione, che non per forza deve essere riconosciuta o condivisa.
È per questo che Phillips e Scott Snyder, il co-sceneggiatore, hanno deciso di introdurre Lady Gaga nei panni di Lee/Harley Quinn, senza per altro riconoscerle l'iconico inizio da psicoterapeuta perché inadatto all'obiettivo del film. L'intento non sembra essere infatti quello di mostrare l'influenza negativa e tossica della malattia mentale di Arthur su Lee, trasformandola nella versione peggiore e criminale di sé (scostandosi di nuovo dal fumetto, prendendo distanza da quelle origini), ma riflettere sul potere intossicante e liberatorio dell'amore, che può sbocciare anche in condizioni avverse e toccare chi, proprio per sua assenza, ha rivelato il peggior se stesso al mondo. La promessa più esaltante e importante di Joker: Folie à Deux sembra anzi essere proprio questa: dopo essere divenuto Joker, rivelandosi a tutti, ora è il momento che Arthur si riveli a sé stesso in una condizione d'accettazione, cercando di definire l'identità del Joker non solo in quanto singola, alienata, distrutta ed emarginata esistenza, votata alla distruzione e all'anarchia, ma in quanto persona e maschera amata.
Il musical, in contesto, sembra destinato a tratteggiare i contorni di una love story criminale votata alla scoperta dell'altro e all'elaborazione di sé, il che né dà a priori un chiaro utilizzo diegetico in termini narrativi. L'evasione dal cinecomic, l'utilizzo di interessanti portanti ispirazionali e una cupa storia d'amore che deve in pratica giustificare l'esistenza stessa di Joker in quanto persona (perché solo nel confronto col prossimo si è tali): sembrano essere questi i tre impegni cardinali di Folie à Deux, che se gestiti con cura e passione potrebbero consegnare al grande pubblico uno dei più riusciti sequel di sempre. Ma si sa che con i sequel non c'è mai da stare sicuri di nulla.