Come si realizza un cult? Ce lo spiega il mito vivente John Landis, che è approdato alla Mostra di Venezia per accompagnare la proiezione del restauro in 4K di Un Lupo mannaro americano a Londra. Un horror, una commedia, un'opera innovativa che omaggia il passato reinventando il genere e umanizzando la figura del lupo mannaro. Senza dimenticare gli incredibili trucchi realizzati dal mago del make up Rick Baker, ingrediente imprescindibile del film.
John Landis ci racconta il curioso episodio fonte di ispirazione per il film: "Era il 1969. All'epoca lavoravo come assistente di produzione a un film nella ex Jugoslavia. Avevo un autista di nome Sacha che mi accompagnava in giro. C'erano poche strade e poche auto. Un giorno eravamo in auto e a un certo punto abbiamo visto un gruppo di persone in mezzo a un incrocio. Avvicinandoci abbiamo visto che alcune persone sembravano zingari e con loro c'erano dei preti greco-ortodossi. Al centro del gruppo abbiamo scorto un cadavere avvolto in un telo e circondato da corone d'aglio. Sacha si è fermato e ha parlato con loro, che gli hanno spiegato che era un funerale. Dopo aver cosparso il cadavere di incenso e acqua santa, a un certo punto lo hanno messo in piedi. Ero affascinato da questa cerimonia. In più una settimana prima l'uomo era andato sulla luna. Dopo aver visto questa scena, ho deciso di scrivere un film sul soprannaturale. Ogni cultura, dagli Indiani d'America agli egizi, ha i suoi fantasmi, ma ha anche i lupi mannari. Pensando alla luna, mi sono sono chiesto come trattare il tema dei lupi mannari e ho scritto Un lupo mannaro americano a Londra".
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Ridere da morire
Loquace, vulcanico, John Landis ci racconta i motivi che lo hanno spinto ad ambientare Un lupo mannaro americano a Londra in Inghilterra: "Le ragioni sono due. La prima è che l'Inghilterra è la patria del gotico, di Arthur Conan Doyle, Jack lo squartatore, Robert Louis Stevenson, la seconda è che all'epoca gli inglesi avevano un sistema di incentivi fiscali che favoriva il cinema. Non ti davano soldi per girare, ma una percentuale su ogni biglietto venduto in Inghilterra". Pur essendo un horror vero e proprio, il film di John Landis è anche estremamente divertente e resiste al passare del tempo continuando a far ridere nuove generazioni di spettatori.
Quale è il segreto della comicità di Landis? "Ogni film, ogni storia richiede un punto di vista. Lo humour è legato al contesto, c'è una relazione non esplicitata tra il film e il pubblico. Il regista sceglie la forma in cui una storia può essere raccontata. Le polemiche legate alla satira non hanno senso, la gente non capisce che niente è sacro. Faccio un esempio. Nessuno è più razzista e scatologico dei Monty Phyton, ma noi sappiamo che la loro comicità ha una patina Oxford-Cambridge, è humour inglese del più caustico. Lo humour cambia a seconda della fonte. L'importante per un regista è essere partecipe della sua opera, interessarsi ai personaggi, a ciò che accade, creare un mondo coerente".
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Passato, presente e futuro
Chi ha il merito di realizzare un cult prima o poi deve fare i conti con i remake. Quale è il rapporto di John Landis con i suoi emuli? "Per me possono fare quello che vogliono. Mi piace citare una frase di Stephen King. Una volta un giornalista gli chiese se non gli desse fastidio che tanti adattamenti rovinassero i suoi libri e lui rispose: 'I miei libri rovinati? Veramente sono qui nella libreria e mi sembrano sempre uguali'. Io la penso allo stesso modo. E poi non tutti i remake sono per forza brutti. La mosca di David Cronenberg è un remake così come La cosa di John Carpenter, eppure sono due capolavori. A volte funzionano, a volte no. Io ho fatto Animal House, migliaia di persone hanno cercato di rifarlo. Mi piace aver creato un genere, anzi, mi sento quasi colpevole di avere creato il vomit movie".
Nonostante i capolavori realizzati in passato, John Landis non dirige un film dal 2010. "Oggi lavoro poco perché i miei progetti, non essendo mainstream, non trovano soldi. L'ultimo film che ho fatto anni fa, Ladri di cadaveri - Burke & Hare, non ha avuto successo. Mi vengono offerti film continuamente, ma alcuni sono così brutti che non voglio passare un anno della mia vita realizzando una porcheria. E poi c'è il problema del final cut, gli studios non lasciano il controllo. Mike Nichols ha smesso di girare film perché non gli davano più il final cut. Ora la tecnologia è meno costosa e tutti possono fare un film con il telefonino e il pc. Ma è difficile trovare cinema che li distribuiscano e tutto questo ha a che fare con l'economia. Sono tempi strani, ma la buona notizia è che le persone fanno sempre buoni film e ci sono i festival per mostrarli a un pubblico". Ci sono speranze di vedere un nuovo film di John Landis nel futuro? "Ho tanti progetti in ballo, ma non ne voglio parlare finché non si realizzano. Adesso sto preparando una cosa ambientata a Chicago che coinvolge altri registi e poi giro tanti spot. La cosa più bella degli spot è che non ci compare il tuo nome".