"É il mio film più americano anche se di americano c'è solo il piccolo protagonista Kyle Catlett- dice Jean-Pierre Jeunet parlando del suo nuovo lavoro - ma in America rischia addirittura di non uscire, forse andrà direttamente su Netfilx". Come ci racconterà durante il nostro incontro, l'uscita del film è infatti bloccata negli Stati Uniti da più di un anno a causa della diatriba tra il regista e Harvey Weinstein che con Miramax ha comprato i diritti. "Ma vogliono rimontare il film, come era già successo per Delicatessen, ma io ho il final cut e gli ho detto che dovranno passare sul mio cadavere".
Sicuramente non un regista prolifico Jeunet, visto che il suo ultimo film L'esplosivo piano di Bazil risale al 2009. Sognatore ad occhi aperti, come i suoi personaggi, ripropone in questo Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet tutta la sua inconfondibile componente estetica che caratterizza il suo cinema, questa volta con l'ausilio del 3D, con il quale fatalmente era prima o pi destinato ad incontrarsi. Ammette candidamente di essere "quel genere di regista che fa sempre lo stesso tipo di film, perché questo è quello che mi piace fare". Appassionato del "fare", disegna sempre da solo tutti i suoi storyboard, un inventore a modo suo, come il piccolo protagonista del film, della cui scoperta ci ha raccontato durante il nostro incontro, così come della sua fascinazione per il 3D e dei suoi "problemi" con gli americani.
La fascinazione per il 3D
Allora ci racconti di questo incontro fatale tra lei e il 3D.
J.P. Jeunet: Quando ero un bambino avevo uno stereoscopio ed ero già affascinato dalle immagini in 3D, ho sempre avuto una fissazione in particolare per la guerra del '15-18' di cui avevo tantissimi vetrini. Poi sono passato ai libri pop up, quando ho girato Una lunga domenica di passioni, avevo creato io stesso un libro pop up con ben 80 immagini in 3D. Quando ho letto il libro di Reif Larsen ho capito subito che era una buona occasione per fare un film in tre dimensioni, la scrittura si prestava molto, a margine delle pagine contiene già dei piccolissimi disegni che mi hanno ispirato. Poi abbiamo girato direttamente in 3D nativo, non si tratta di una conversione come fanno oggi quasi tutti, abbiamo usato lo stesso hardware usato da James Cameron per Avatar. Poi c'è stato un lungo lavoro di post produzione per correggere tutto quello che era venuto male, quello che di solito fa venire il mal di testa alla gente quando guarda un film in 3D. Tecnicamente mi sento di dire che è un prodotto veramente perfetto.
Cos'altro l'ha ispirata nel libro?
Altre due cose: la seconda intanto, è che si tratta di una storia piena di emozioni. Spesso mi hanno accusato che i miei film si preoccupano solo dell'estetica e non trasmettono emozioni: stavolta volevo essere sicuro che fosse diverso. Abbiamo fatto un grande lavoro di adattamento perché il libro è molto denso, ci sono talmente tante idee vicine al mio mondo, al punto che somigliava sin troppo già di per sé ad Amélie. Quando ho incontrato l'autore, parlavamo la stessa lingua, mi sembrava di conoscerlo da sempre, quasi fosse un mio figlio spirituale. La terza cosa è stata la possibilità di girare nel Montana e filmare i grandi spazi americani.
Attenzione agli Americani
Lei ha girato anche con grandi studios in America: le differenze principali tra Hollywood e l'Europa?
In America c'è il cinema indipendente e quello degli studios. Io ho lavorato in Alien: La clonazione e all'epoca andò sorprendentemente bene, avevo diciamo il 95% di libertà creativa, oggi non sarebbe più così. Per evitare costrizioni di alcun genere ho girato un film europeo, per avere il final cut: questo non è un film americano anche se lo sembra, è una produzione franco-canadese, gli attori sono tutti inglesi, francesi, e australiani, tranne il ragazzino... Ma purtroppo non si sfugge agli americani... Il film è stato comprato da Weinstein che vuole rimontarlo per la distribuzione in USA, io ho rifiutato categoricamente e avendo per fortuna il final cut tutto è bloccato e siamo in guerra. Per cui in America probabilmente non potrà uscire e andrà direttamente su Netflix.
Era già successo con altri suoi film?
Volevano fare lo stesso con Delicatessen. Io ho detto "se lo fate, levate i nostri nomi dai titoli di coda". Con Il favoloso mondo di Amélie non osarono, perché aveva avuto un successo troppo grande per poterlo toccare. Ma riuscirono a non fargli vincere l'Oscar grazie alle loro politiche: Miramax quell'anno fu boicottata perché Weinstein faceva cose diciamo poco ortodosse per arrivare all'Oscar. E gli si ritorse contro. La storia come vedete continua con Spivet.
Uno spettacolo per gli occhi
Il film è anche una sorta di road movie che le ha dato appunto la possibilità di filmare i grandi spazi della provincia americana? Questa cosa la affascinava?
Tutti gli europei hanno una sorta di fascinazione per i grandi spazi americani: le praterie, i ranch, le montagne. Noi giravamo nel Montana ma dalla parte canadese quindi nel Québec, la gente al cinema non lo sa ma quasi tutti girano da quella parte per ragioni produttive: il paesaggio è ovviamente lo stesso.
Il piccolo T.S. Spivet sembra quasi il fratello minore di Amélie, anche lui un sognatore ad occhi aperti. Lo è anche lei? Quanto c'è di suo nei suoi personaggi?
Così come il mio personaggio, anche io sono appassionato dal "fare" e dal "creare": lui inventa cose, io invento film, nel senso che li costruisco proprio materialmente. Disegno io gli storyboard, ne faccio tantissimi, mi piace il lavoro manuale. Ecco, mi sento come uno chef, che prepara piatti per il gusto di farlo e di farli assaggiare ai suoi amici, questa è la mia gioia. Poi il fatto che gli altri possano apprezzarli o meno, riguarda loro, non me, la mia soddisfazione sta nell'averli fatti. Come Spivet ovviamente mi piace anche vincere premi, viaggiare per andarli a ritirare, ma così come lui mi piace ad un certo punto tornare a casa mia.
Uno straordinario protagonista
Ci racconti di come ha trovato il bambino, straordinario protagonista del film.
Mai facile trovare un bambino che reciti il ruolo di protagonista, forse il casting ha visto 3.000 bambini in giro per il mondo, cominciavamo a disperare. Un giorno vedo questo ragazzino via Skype, alto 1 metro e venti... tra l'altro è ancora così, sembra non voler crescere. Lui era troppo giovane, ha nove anni, Spivet ne ha dodici. E poi durante l'incontro il bambino si presenta e dice: "sono campione di arti marziali, parlo il cinese e il russo e sono capace di piangere a comando se vuoi". Un ragazzino eccezionale, che non ha mai dato segni di cedimento durante tutta la lavorazione, mai stanco, mai un capriccio. Poi di nuovo un problema con gli americani... il suo agente aveva mentito, aveva già firmato per The Following, la serie di Kevin Williamson, e la Warner ci ha risposto "niente da fare, per ora non è disponibile". Abbiamo perso tre settimane aspettando lui, temporeggiando, girando nei weekend e usando comparse.
Lei non è un regista molto prolifico in effetti. É solo perché sceglie con cura i suoi progetti?
Non é solo un problema di trovare fondi, ma di trovare soggetti che mi stimolino a lavorare per 3 o 4 anni. Poi io scrivo da me il copione, anche se sono storie tratte da altri come in questo caso, per cui ci vuole tempo. E poi bisogna trovare le risorse, i miei film sono abbastanza complessi, lunghi nella realizzazione e soprattutto nella post produzione. Mi piace molto per cui non ho problemi, passo anche tanto tempo all'estero in promozione. Di questo passo magari riesco a farne ancora due o tre.