"Quello che ci hai regalato al cinema lo abbiamo avuto sotto gli occhi questa sera: sullo schermo sei stata in equilibrio fra la verità e la menzogna, fra il sentimento e la tecnica, fra il dubbio e la grazia, fra il virtuosismo e il dolore. Con i tuoi personaggi hai chiamato a partecipare a un viaggio verso ciò che non conosciamo: ciò che non conosciamo degli altri e ciò che non conosciamo di noi stessi". Con queste parole Toni Servillo, insieme a lei nel cast di Bella addormentata, ha consegnato sabato sera a Isabelle Huppert il premio alla carriera della tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Elegante, ironica, estremamente disponibile con il pubblico e i giornalisti, la splendida attrice francese, idolo dei cinefili di ogni generazione (e a breve sui nostri schermi nel nuovo film di Neil Jordan, il thriller Greta), è stata protagonista sia di una conferenza stampa, sia dell'incontro pomeridiano con Antonio Monda, nel corso del quale, oscillando con disinvoltura tra il francese e l'italiano, ha ripercorso alcuni dei titoli più importanti della sua filmografia: fra questi Il buio nella mente di Claude Chabrol (regista che con lei aveva instaurato un magnifico sodalizio), La pianista di Michael Haneke e ovviamente uno dei suoi più recenti e clamorosi successi, Elle di Paul Verhoeven, capolavoro del 2016 che le è valso il Golden Globe come miglior attrice e la sua prima nomination all'Oscar.
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Isabelle Huppert e le sue oscure eroine
Come ci si sente ad essere considerata un modello di riferimento da moltissime giovani attrici?
In realtà anche le attrici meno giovani spesso mi fanno i complimenti!
Richiede coraggio calarsi in personaggi tanto ambigui ed oscuri?
I miei personaggi non mi fanno paura: alcuni sono molto complessi, altri sono donne normali che affrontano situazioni difficili. Non credo che fare il mio lavoro richieda particolare coraggio. Le maggiori difficoltà, al cinema, sono risolte dalla regia, e io ho avuto la fortuna di lavorare con tanti grandissimi registi. Il cinema non mi spaventa: sono sempre stata convinta che, quando si hanno dei dubbi, le risposte arrivano nel momento in cui si fanno le cose. La complessità, per me, è sempre stata fonte di grande soddisfazione: sono una donna curiosa, non bisogna aver paura dell'ignoto. E comunque i film non devono necessariamente fornire delle risposte agli spettatori.
A questo proposito, quali sono i personaggi a cui si sente più legata?
In qualche modo, mi sento al contempo vicina e distante da tutti i miei personaggi; e la mia vicinanza a loro agisce a un livello intimo e segreto, anche quando sono diversissimi da me. Un personaggio, del resto, non è me stessa, ma ciascuno di loro ha qualcosa di me: quelli più quotidiani e quelli costruiti in maniera più estrema e fantasiosa. D'altra parte, il cinema è un'arte che consiste nel restituire un sentimento di autenticità. E i miei personaggi li amo tutti, magari alcuni un po' più di altri: per esempio la Michèle di Elle o la Erika de La pianista, ma pure le protagoniste di film meno noti.
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Una diva fra cinema, teatro e piccolo schermo
In televisione, ha appena recitato nella serie televisiva The Romanoffs: com'è stata coinvolta in questo progetto?
Fra l'altro so parlare anche in russo, anche se molto poco! Ho incontrato Matthew Weiner, del quale avevo visto Mad Men: la sua idea per The Romanoffs è sorprendente e originale, ogni episodio è incentrato su questa famiglia misteriosa. E Matthew ha affrontato le numerose domande sui Romanov con alcune storie differenti nel corso di otto episodi. In uno di questi, io ho il ruolo di una regista, diciamo... molto nervosa! È una serie piena di inventiva.
Da attrice, quali differenze riscontra fra la recitazione per il cinema e quella per il teatro?
Sono felicissima del lavoro svolto a teatro, nel corso della mia carriera in palcoscenico ho incontrato persone incredibili! Per me fra la recitazione al cinema e quella in teatro non ci sono particolari differenze, anche se sono consapevole del fatto che i ruoli interpretati al cinema hanno la possibilità di restare nella memoria collettiva.
Lei è stata diretta da alcuni dei più grandi maestri del cinema mondiale: il suo approccio alla recitazione cambia in base al regista con cui sta lavorando?
Sì, dipende dal regista. Sul set di Elle, per esempio, con Paul Verhoeven abbiamo parlato poco, non mi ha dato molte indicazioni. Del resto Elle è un film particolare: per certi aspetti è un dramma psicologico, ma per raccontare il personaggio si affida pure a tantissimi dettagli, come la casa di Michèle o i suoi abiti. Maurice Pialat, in Loulou, lasciava completo spazio all'improvvisazione. E poi c'è stato Claude Chabrol, un regista geniale in ogni aspetto: ne Il buio della mente interpretavo Jeanne, una postina che con le sue parole distilla il male nella mente dell'altra protagonista. È una storia terrificante, basata su un romanzo di Ruth Rendell; su un soggetto simile ho interpretato anche Le serve di Jean Genet a teatro, in coppia con Cate Blanchett, ma lì l'erotismo fra le due protagoniste è più esplicito.
Durante le riprese di un film, ha mai richiesto di riscrivere delle scene o di modificare un personaggio?
A volte ho chiesto di modificare delle piccole cose, per far sì che potessi recitare nella maniera più naturale possibile, ma non ho mai richiesto modifiche 'pesanti' ai copioni.
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I cancelli del cielo e le 'stelle nascoste'
Cosa ricorda dell'esperienza sul set di uno dei suoi film più importanti e 'sfortunati', I cancelli del cielo di Michael Cimino?
È stata un'avventura! Michael Cimino era un regista straordinario, iconoclasta: questo film sovverte il classicismo hollywoodiano e ha una messa in scena magistrale. In qualche modo si tratta di un film politico, che demolisce il mito dell'America; probabilmente era troppo politico e troppo virulento per riscuotere successo con il pubblico americano dell'epoca. Ne esistono addirittura due versioni, una più breve e una lunga circa quattro ore, diversissime fra loro.
Si è mai pentita di aver accettato qualche ruolo?
No, e comunque non sarebbe una cosa così importante... Alfred Hitchcock diceva: "Dopotutto, è solo un film!". E poi, quando si decide di partecipare a un film è necessario avere un po' fiducia, come quando ci si trova su un treno e ci si abbandona a guardare il paesaggio che scorre davanti a noi. In passato ho rifiutato di girare la prima versione di Funny Games, una parte che poi è andata a un'attrice bravissima, Susanne Lothar: con Michael Haneke abbiamo cercato per molto tempo un'occasione per lavorare insieme, e finalmente ci siamo riusciti con La pianista.
E quali sono invece gli altri film a cui avrebbe voluto partecipare?
Be', tutti i film che non ho ancora fatto! Ci sono, so che ci sono, ma se ne stanno lì nascosti, come stelle...