È sempre bello quando un film ti spiazza, ti disorienta, ti prende e ti porta via, e non sai dove ti porterà quel viaggio. Io sono Vera, il film di Beniamino Catena al cinema dal 17 febbraio, è uno di questi. È un film italiano che fa quello che hanno fatto altre volte, sempre meno spesso, film di grandi artisti in arrivo spesso da oltreoceano. Io sono Vera è un film indipendente, ma non solo in senso produttivo. Lo è anche nel senso che è libero, capace di muoversi e di andare verso territori poco battuti. È la storia di Vera, una bambina di 11 anni che, nella prima scena, si rivolge a noi come se parlasse in un video privato. Ci racconta la sua età, e il fatto che, con un po' di paura, sta per iniziare le scuole medie. Il suo amato cane è morto, e la cosa la turba. Mentre, accompagnata da Claudio, un amico di famiglia che le aveva regalato il cane, si reca in riva al mare per spargere le ceneri dell'animale, all'improvviso scompare. Dopo due anni ritorna. È diversa, è cresciuta, è una giovane donna. Lei non ricorda niente. La madre decide di credere in lei. Nel frattempo, seguiamo la vita di un uomo cileno che, dall'altra parte del mondo, clinicamente morto, si era risvegliato nel momento in cui Vera era scomparsa...
Beniamino Catena: "Vera è una ragazzina che vuole sconfiggere la morte"
Io sono Vera è un film che spiazza, dicevamo. È un film che è difficile definire. È un fantasy, un film di fantascienza, un road movie, è soprattutto un dramma che parla di famiglia e di legami, e per questo, nonostante situazioni al limite del reale, è un film concreto, intenso, in cui tutto è estremamente credibile. "È una storia che viene da lontano, era un soggetto che avevo nel cassetto da dieci anni" ci ha raccontato il regista Beniamino Catena. "Parte da una perdita, da un lutto. E quindi quello di Vera è un viaggio verso l'impossibile. Vera è una ragazzina che vuole sconfiggere la morte, che vuole andare verso un altrove. Che ha coraggio. Lo prende come un gioco, ma è un gioco di cui ha rispetto e sa qual è il prezzo che può pagare, nel momento in cui potrebbe anche ritornare. In fondo è una sorta di catabasi, in pochi sono riusciti a farlo. Entra per forza di cose nel campo della fantascienza". Io sono vera è un film unico e indefinibile, che si avvicina a delle cose che abbiamo amato molto, come la serie tv The OA e il film di Clint Eastwood Hereafter. Ma è anche un film fortemente metaforico per come racconta, a suo modo, un passaggio all'età adulta, una storia di crescita. "Vera sin dall'inizio del film è in ansia, deve entrare alle scuole medie" riflette il regista. "È un rito di passaggio l'avventura che compie. Anche con Claudio, che è un amico di famiglia, ma diventa anche il suo professore. In questa novità si insinua la perdita del suo amato cane, che le fa riflettere su dove sia finito. Da lì si lascia andare a un desiderio irrefrenabile, ci crede, e usa proprio gli strumenti del potere che solo quelli che credono fermamente nei desideri hanno. All'inizio non se ne rende conto, ma poi si rende consapevole dei rischi che corre. Quando torna è consapevole che l'incantesimo durerà per poco".
Anita Caprioli: "È un film che parla dell'animo umano"
I momenti più forti di Io sono Vera sono quelli tra Vera da grande (Marta Gastini) e la madre (Anita Caprioli). Sono delle scene molto toccanti e commoventi, realistiche, in una storia che è fantastica, che ha un aspetto magico. Come si riesce ad essere così concrete, così reali, in una storia a cui si stenta a credere? "È stata una scelta del regista, quella di dare a un film che ha un elemento magico così forte una connotazione realistica, quasi documentaristica" ci ha spiegato Marta Gastini. "Anche nel modo in cui lui ha scelto di girare. È un film che ha del fantastico, ha degli aspetti inspiegabili ma allo stesso tempo è un film che parla di amore, di accettazione, del quotidiano. È un film che parla di una famiglia. Aggrappandosi a questo, abbracciando questi aspetti del film si poteva portare la recitazione su qualcosa di molto realistico". "È un film che parla dell'animo umano, per cui qualcosa che ci appartiene, di molto intimo, concreto" le fa eco Anita Caprioli. "Inevitabilmente andando a raccontare questo non si poteva uscire da quello che è non solo il realistico, ma anche dai rapporti intimi che ci sono tra una madre e una figlia. Dovevamo rifarci a qualcosa di vero. Nella scrittura questa viene raccontata come una storia vera, quella di una madre e di una figlia. Per noi era anche difficile andare fuori, perché nella scrittura c'era raccontato quel rapporto".
Anita Caprioli: "L'istinto nei confronti di un figlio prescinde da tutto"
Il personaggio di Anita Caprioli è molto bello, commovente. È lei che incarna la speranza, che fa un atto di fede, che ci spiega cosa c'è tra un genitore e un figlio, e che riesce a rendere tutto questo concreto, vibrante, universale. "È universale, e più che un atto di fede c'è qualcosa che è più profondo in una madre" risponde Anita Caprioli. "Che è l'istinto che si ha nei confronti di un figlio e che prescinde da tutto. È qualcosa che non è conscio, che deriva da qualcosa di ancestrale. È qualcosa che è dentro ogni madre, nei confronti del proprio figlio. Lei da un punto di vista scientifico non ha niente per spiegare tutto questo, ma viene trasportata dentro qualcosa di più profondo. E lei lo sa. E questo sapere ci riposta all'universo, a qualcosa che è più grande di noi e poi si riproduce in noi. È come con i processi lunari, che influiscono su tutto ciò che siamo, le maree, la semina. È qualcosa che è a prescindere da noi. È qualcosa che lei ha dentro".
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Marta Gastini: "Un'immagine che non rendesse l'idea immediata di un genere"
L'interpretazione di Marta Gastini, oltre che intensa a livello emotivo, racchiude anche un grande sforzo fisico. Basti pensare alla prima scena in cui appare la nuova Vera, che è nuda, indifesa, incerta del proprio corpo, e si muove a scatti. È come un alieno che arriva sulla Terra. "Era importante fare un lavoro anche sul corpo, perché ascoltando le testimonianze di chi ha fatto un'esperienza extracorporea e poi è tornato nel corpo, sentiamo dire che il tornare nel corpo è estremamente doloroso" ci ha raccontato l'attrice. "Mi piaceva portare questo quando Marta torna nel corpo. C'è prima di tutto un dolore fortissimo nell'aver lasciato lo spirituale ed essere tornata nel concreto. E poi poteva essere interessante il fatto che lei non riconoscesse immediatamente questo corpo. E quindi cercare di rendere con il movimento tutto questo: è come se lei fosse un palloncino sgonfiato dell'aria, l'aria poi ci rientra piano piano e il palloncino trona a muoversi ma un po' scomposto". Il lavoro sulla parte fisica e l'immagine è frutto di un lavoro preciso fatto insieme al regista. "È stato divertente studiare con Beniamino un'immagine che fosse forte da subito, che non rendesse l'idea immediata di un genere" ci svela l'attrice. "Quindi ho lavorato sul mio corpo prima per cercare di renderlo, per quanto possibile, un ibrido tra il mascolino e il femminile. Tanto che tra i primi articoli che sono usciti mentre giravamo c'era una foto con il regista e il truccatore e c'era scritto: un giovane attore che viene preparato. Forse il taglio di capelli ha aiutato. Era proprio lì che volevamo andare. Creare un essere che forse non fosse immediatamente riconoscibile".
Davide Iacopini: "Il mio lavoro è non giudicare i personaggi che interpreto"
Così come non è immediatamente riconoscibile, nel senso di intelligibile, il personaggio di Claudio, interpretato da Davide Iacopini. È un buono o un cattivo? È un amico o un colpevole? Il film ci lascia fino alla fine con questo interrogativo, ed è bravo Iacopini a interpretare il personaggio lasciandolo in un limbo. "Credo che una parte fondamentale del mio lavoro sia non giudicare il personaggio che interpreti" ci spiega. "Non volevo giudicarlo, non volevo dargli troppa chiarezza, l'immagine di uno che non è colpevole. Era bello lasciare il dubbio. Mi viene in mente il film Il Sospetto, con Mads Mikkelsen. Fa un lavoro interessante rispetto al lavoro che ho fatto io: tu non sai mai se è colpevole o meno. Allo stesso modo preferivo che non si capisse subito che Claudio era una persona che voleva bene a questa bambina. La verità è che le voleva un mondo di bene. Quella legata a lei è una di quelle colpe che entrava nel surreale, quindi era difficile discolparsi: da uomo pragmatico Claudio non riusciva a dare spiegazioni precise sul perché non fosse lui il colpevole, tutti gli indizi portavano a lui. Mi piaceva che cii fosse suspance, un dubbio su questa cosa". Alla fine del film c'è anche un momento in cui vediamo Claudio nel suo ruolo, quello di un professore, e capiamo il suo rapporto con Vera. "È stato molto liberatorio" ci ha svelato Iacopini. "Il film ha una buona percentuale di dramma, mi trovavo a soffrire in gran parte delle occasioni. Le scene da professore sono state molo piacevoli. E c'è stato un bel dialogo, sottile, tra le righe con Vera, che mi aveva fatto molto piacere sul set. E in montaggio mi aveva confermato la sua forza".