Io sono ancora qui: come Walter Salles ha affrontato gli orrori del Brasile

Il film, candidato a tre premi Oscar, rievoca gli anni del regime militare in Brasile attraverso la prospettiva privata di Eunice Paiva, interpretata da una struggente Fernanda Torres.

Un'immagine del film Io sono ancora qui

Presentato in concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove si è aggiudicato il premio per la miglior sceneggiatura, Io sono ancora qui approda nelle sale a due anni di distanza dall'uscita di Argentina, 1985 di Santiago Mitre: un altro film che, come accade oggi con la pellicola di Walter Salles, si impegnava a fare i conti con la storia contemporanea del Sud America. Una storia che, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, è stata caratterizzata da un fil rouge che ha legato insieme le sorti dei maggiori paesi del continente: dal golpe militare in Brasile del 1964 alla violenta ascesa al potere di Augusto Pinochet nel 1973 in Cile e di Jorge Rafael Videla nel 1976 in Argentina, spesso con la silenziosa complicità degli Stati Uniti nell'ambito della famigerata Operazione Condor.

I regimi dell'America Latina nel cinema contemporaneo

Fernanda Torres
Io sono ancora qui: un primo piano di Fernanda Torres

Un destino per molti aspetti comune, quello che per decenni ha segnato tragicamente la storia dell'America Latina a diverse latitudini, e con il quale sempre più spesso il cinema si sta adoperando a confrontarsi. Non senza rischi, fra l'altro: emblematico il tentativo di boicottaggio messo in atto da alcune fazioni della destra estrema brasiliana proprio contro il film di Walter Salles. Un boicottaggio che, per fortuna, non è stato in grado di arginare il meritato successo di Io sono ancora qui, capace di registrare oltre tre milioni di spettatori in patria e ricompensato con tre nomination agli Oscar: miglior film, miglior film internazionale e miglior attrice per Fernanda Torres, già premiata con il Golden Globe per la sua magnifica interpretazione nel ruolo della protagonista Eunice Paiva.

Argentina 1985
Argentina, 1985: un'immagine di Ricardo Darín

Il succitato Argentina, 1985, ambientato subito dopo la caduta della dittatura, ne rievocava le responsabilità e le dinamiche mettendo letteralmente sotto processo - mediante i codici del dramma giudiziario - i vari 'attori' della politica argentina di quegli anni. Una prospettiva non troppo dissimile era quella adottata nel 2012 dal regista cileno Pablo Larraín in No - I giorni dell'arcobaleno, che metteva in scena il dibattito sugli strumenti mediatici più adatti a scardinare la propaganda di regime di Pinochet: il focus del racconto era il plebiscito nazionale del 1988, capitolo di svolta per la storia del Cile e prodromo della fine della lunga dittatura del Generale, costretto alle dimissioni nel 1990 ma arrestato per crimini contro l'umanità soltanto nel 1998.

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Una storia di famiglia nel Brasile della dittatura militare

Im Still Here
Io sono ancora qui: Walter Salles e Fernanda Torres sul set

Differente il caso di Io sono ancora qui, sceneggiato da Murilo Hauser ed Heitor Lorega a partire dall'omonimo libro di Marcelo Rubens Paiva, dedicato alla vicenda personale dell'autore: nel film di Walter Salles, la storia nazionale del Brasile si riflette infatti all'interno di una storia specifica, quella della famiglia Paiva. La prima sezione dell'opera è costituita da una lunga ma essenziale introduzione sulla quotidianità dei personaggi: Rubens Paiva (Selton Mello), ex-deputato da poco rientrato a Rio de Janeiro dopo essersi auto-imposto sei anni d'esilio in seguito al colpo di Stato, sua moglie Eunice (Fernanda Torres), i loro cinque figli e un ampio numero di parenti ed amici. Una solare famiglia 'allargata' nella cornice idilliaca del quartiere di Leblon, in riva all'oceano, laddove la durezza del regime è relegata a tiepidi echi in sottofondo.

Proprio questa dicotomia fra l'allegro vitalismo di persone 'normali' (Rubens Paiva ha abbandonato ormai ogni ruolo politico) e la feroce limitazione delle libertà civili accresce l'impatto emotivo del momento in cui il solido equilibrio dei Paiva viene sconvolto irrimediabilmente. È il momento in cui la Storia con la S maiuscola irrompe nella casa di Rubens ed Eunice, prelevando prima l'ex-deputato, poi sua moglie e la figlia Eliana (Luiza Kosovsk). Per una manciata di scene, il film di Salles ci trasmette il senso di claustrofobia e di orrore che il cinema ci ha indotto ad associare ai soprusi dei regimi e al dramma dei desaparecidos: poi, però, Eunice ed Eliana vengono restituite ad una 'normalità' ormai compromessa, in quella grande casa dominata dall'assenza di un marito e di un padre.

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La lotta di Eunice Paiva, fra dolore e sorriso

La Historia Oficial
La storia ufficiale: un primo piano di Norma Aleandro

Percorso da un sommesso struggimento, ma al contempo rigoroso nell'evitare di intraprendere le facili strade dell'eccesso o della retorica, Io sono ancora qui aderisce giocoforza al filone del cinema di denuncia, innervato però di un'autenticità che deriva innanzitutto dalla scelta di un punto di vista familiare e 'privato'. Una scelta già compiuta quarant'anni fa dal regista Luis Puenzo ne La storia ufficiale, uno tra i primissimi film ad affrontare la ferita ancora fresca inferta dal Governo di Videla all'Argentina (e anch'esso riconosciuto a livello internazionale, fino agli Oscar). In quel caso, però, la prospettiva di un'altra moglie e madre di famiglia, la Alicia Marnet di Norma Aleandro, era quella di una donna appartenente all'establishment della dittatura e costretta a una devastante presa di coscienza sulla realtà del proprio paese.

Fernanda Torres
Un'immagine di Fernanda Torres in Io sono ancora qui

Diametralmente opposto il caso di Eunice Paiva, vittima ben consapevole della crudeltà del regime e determinata a rendere tale consapevolezza quanto più possibile pubblica e 'rumorosa'. La lotta di Eunice, che occupa il terzo atto di Io sono ancora qui, è dunque una lotta portata avanti dalla donna e dai suoi cari con ostinazione, dignità e fermezza, come sottolineato in primis dalla prova d'attrice di Fernanda Torres: una performance sviluppata prevalentemente in sottrazione, in cui la necessità di contenere e dominare le emozioni è bilanciata da un'espressività di silenziosa potenza. Ma è una lotta portata avanti anche con il sorriso: quel sorriso esibito orgogliosamente nella foto di gruppo che farà da copertina alla loro intervista. La rivendicazione di una normalità e di una felicità a cui tenere fede a dispetto degli orrori dello Stato e della Storia.