L'ultima volta che l'abbiamo incontrato in Italia era per l'ultimo controverso e contrastato film di Lars Von Trier, La casa di Jack ed ora Matt Dillon, ormai di casa in Italia, complice una compagna italiana, è il presidente onorario della terza edizione del Filming Italy Sardegna Festival dove lo incontriamo nuovamente. Pronto per presentare il suo nuovo film da regista, The Great Fellove, il documentario sul musicista cubano Francisco Fellove, in programma al film festival di San Sebastian a fine settembre. Dillon torna indietro con la mente al lavoro con Lars Von Trier, rivela dettagli sui film girati con Eva Green e Tom Hardy e riflette sulle differenze di ruolo e responsabilità tra regista e attore.
La spalla di Tom Hardy ed Eva Green
A giudicare dalla sua filmografia, Matt Dillon non è certo stato con le mani in mano dopo il successo del suo disturbante ruolo da serial killer in La casa di Jack di Lars Von Trier. L'attore ha infatti recitato al fianco di Eva Green in Proxima di Alice Winocour, presentato al Toronto Film Festival lo scorso anno e di Tom Hardy nel biopic Capone dove quest'ultimo interpreta Al Capone nell'ultima fase semilucida della sua vita. Del suo ruolo in Proxima, il critico Jordan Mintzer di The Hollywood Reporter scrisse da Toronto che gli era riuscito senza sforzo alcuno. Nel parlarne Dillon specifica subito che il film era tutto nelle mani di Eva Green a cui ha fatto da spalla: "In Proxima il mio non è un ruolo da protagonista, interpreto un astronauta americano e il film si basa sulla storia di un'astronauta, interpretata da Eva Green e tutti i conflitti che vive con il femminile" racconta Dillon che poi spiega le positività del progetto: "Ho avuto la possibilità di girare sia in Russia che in altre parti del mondo e ho trovato molto interessante recitare con Eva Green di cui mi piace molto il modo di lavorare". Aggiunge su Proxima infine l'attore: "tematiche come questa e i film di ambientazione futuristica, sci-fi, nello spazio, in generale mi piacciono molto".
Senza farsi ripetere la domanda poi Matt Dillon inizia a elogiare il progetto del film Capone, uscito digitalmente negli Stati Uniti il 12 maggio incassando nei primi 10 giorni la esaltante cifra di 2,5 milioni di dollari: "La prima cosa che ho pensato su Capone è che la sceneggiatura era interessante perché non glorificava il personaggio. In più mi piace molto come lavora il protagonista Tom Hardy". Procede poi Dillon a descrivere l'entrata in scena del suo personaggio: "Il mio personaggio si chiama Johnny, è il migliore amico di Capone, entra nella storia in modo bizzarro perché quando arriva in scena si percepisce che c'è qualcosa di oscuro nel loro rapporto, si capisce il forte legame che hanno e si ha quasi la sensazione che il personaggio di Johnny sia un po' un fantasma per Capone, rappresenta la sua coscienza sporca".
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Il Grande Fellove
Nelle sue numerose apparizioni in Italia, tra partecipazioni a Festival e presentazioni di film, Matt Dillon non ha mai fatto mistero di tenere molto alla sua parallela carriera di regista, ferma però all'esordio nel lungometraggio di finzione con City of Ghosts nel 2002. Scopriamo che da anni o da "tutta una vita" per citare le parole dell'attore di Rusty il Selvaggio, sta lavorando ad un documentario sulla vita di un musicista scat cubano, Francisco Fellove dal titolo The Great Fellove. Il film sarà, emergenza permettendo, finalmente presentato al Festival di San Sebastian il prossimo settembre e una volta iniziato a parlarne, Matt Dillon è un fiume in piena di entusiasmo per questo lavoro: "È molto importante per me questo progetto" dichiara - "molto della storia del mio film parla del lascito di Fellove e dell'empatia che ha sentito nel suo lavoro e penso che ognuno di noi troverà un po' di sé nella sua storia" chiarisce il regista. Di Fellove Matt Dillon parla con grande coinvolgimento: "Era unico a modo suo, ha scritto tante canzoni, stava morendo di fame a Cuba e come molti cubani, andò in Messico perché lì c'erano le opportunità. Era nato per fare la star e tutti quello che lo vedevano in scena ne venivano ammaliati. É un personaggio bellissimo e sono felice di averlo conosciuto bene".
La casa di Jack
Iniziata la sua carriera da giovanissimo, a 15 anni con Giovani Guerrieri, Matt Dillon ha sempre raccontato e continua a farlo, di aver imparato tutto sul campo, film dopo film: "mi piacciono le sorprese" - rivela - "per la Casa di Jack per esempio, il copione era da pazzi, stavo andando in Toscana con la mia compagna, mi sono messo a leggere e ad un certo punto ridendo le ho detto: 'Quest'uomo è appena passato sopra una donna con il furgone!'. Non ero interessato al serial killer ma al viaggio emotivo e al processo creativo che c'erano dietro l'interpretare questo personaggio. Non è stato facile ma cercavo da tempo un ruolo che mi facesse sentire anche un po' scomodo". La casa di Jack ha suscitato reazioni controverse nel pubblico e nella stampa e nel corso delle varie presentazioni del film, la parola "responsabilità" verso il pubblico è venuta fuori parecchie volte. La chiarisce Matt Dillon: "Non sentivo la responsabilità pesante del film perché a parte quella che sento sempre verso il mio lavoro, il resto appartiene al regista. Quando ho diretto il mio primo film, è li che ho sentito veramente la responsabilità di quello che stavo facendo. Quando ho lavorato con Lars Von Trier" - chiarisce Dillon - "lui mi ha detto: 'se non ti piace qualcosa che stai facendo, incolpa me'. Il film è la sua voce e lo capisco da regista. Quando sei un attore sei un interprete della visione di qualcun altro".
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