Il cinema è delle donne. La tendenza di questi ultimi anni del grande cinema americano, e non solo, parla chiaro. I grandi personaggi femminili sono sempre più protagonisti, anche all'interno di saghe e generi che fino a poco fa erano considerati prettamente maschili. Inoltre, e non potrebbe essere altrimenti, al centro dell'attenzione di registi e sceneggiatori sembra esserci con maggiore forza ed importanza la figura femminile nella sua totalità e di conseguenza tutte le dinamiche che la interessano a 360°. Anche l'horror sembra adeguarsi e da questo punto di vista, il quarto capitolo di Insidious: L'ultima chiave appare perfettamente inserito all'interno di questa tendenza della contemporaneità. Infatti a muovere tutte le vicende che si sviluppano nel corso del film, sono senza ombra di dubbio le donne, nelle vesti di figlie, di madri, di nipoti, di vittime. Addirittura sembrerebbe presentarsi un parallelismo piuttosto inquietante anche con gli attualissimi discorsi sulla violenza venuti fuori nell'ultimo periodo, ma purtroppo questa importante chiave di lettura non è sviscerata con l'attenzione che meriterebbe.
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Da James Wan ad Adam Robitel
Questo quarto capitolo della fortunata saga avviata positivamente da James Wan e proseguita in modo non particolarmente esaltante da Leigh Whannell, si colloca temporalmente proprio tra il terzo capitolo ed il primo, finendo per essere un vero e proprio prequel del primo Insidious. Il film vede il ritorno in scena della della brillante parapsicologa Elise Rainier, che deve affrontare la sua ossessione più terribile: il suo passato. Cambia ancora una volta la regia, che in questa occasione viene affidata ad Adam Robitel, conosciuto forse di più come sceneggiatore ed attore piuttosto che regista. Purtroppo la mancanza di esperienza gravita sul film come un macigno e nonostante un soggetto di partenza interessante e potenzialmente di grande impatto, proprio in virtù delle tematiche messe in ballo, il film si perde piano piano sotto i colpi della ripetitività e dell'esagerazione. Inizialmente infatti Robitel riesce a costruire atmosfere tese e dona il giusto alone di mistero per una storia di questo tipo, ma nel momento in cui dovrebbe entrare nel vivo della vicenda per andare in profondità in film si accartoccia su se stesso ricorrendo ai classici, seppure in alcuni casi efficaci, trucchetti da jumpscare e a soluzioni narrative e visive molto approssimative. Anche la scelta del cast e la direzione degli attori non aiuta, perché nonostante qualche figura di contorno ben calibrata nei toni, per il resto appare tutto molto forzato e poco credibile.
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Troppi jumpscare, poca sostanza
Sembra che il film sia molto più preoccupato di costruire la piccola situazione per lo spavento di turno momentaneo, piuttosto che impegnato a dare un significato di più ampio respiro alla vicenda che mette in scena. Alla lunga questo meccanismo finisce con l'essere troppo prevedibile e soprattutto poco interessante. La linea con cui James Wan aveva avviato questa saga era figlia delle atmosfere anni 80' alla Poltergeist: demoniache presenze, omaggiava film come Shining e Psycho e non disdegnava l'inserimento di una vena ironica. Col passare del tempo ed il cambio in cabina di regia Insidious sembra aver esaurito tutta la sua verve e si trascina stancamente senza soluzioni che possano alimentarne ancora la vita. La speranza è che in futuro questi mezzi e queste risorse, comunque notevoli per un film di genere, possano essere utilizzati per qualcosa di più originale e stimolante.
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2.0/5