Un ragazzo che uccide entrambi i genitori e che viene condannato a vari anni di carcere. E che, in quel carcere, conosce a fa innamorare delle ragazze. E che, una volta uscito, si avvicina a Dio. Nell'avvicinarci alla recensione di In silenzio, la nuova serie spagnola Netflix, non possiamo non notare che, per noi italiani, lo spunto abbia un che di particolare. Perché non abbiamo ancora dimenticato il caso di Pietro Maso che negli anni Novanta sconvolse l'Italia e lo fa ancora oggi. È interessante notare un parallelo tra lui e Sergio, il protagonista del film. Ma è solo una suggestione e un motivo in più per vedere la serie. In silenzio è un prodotto molto diverso dalle altre serie tv spagnole disponibili su Netflix; più sobria, cupa, dolente e ipnotica. È una serie che ci parla di traumi, di immagini e di controllo, che si presta a più chiavi di lettura. E che, questa è la cosa più importante, tiene incollati allo schermo.
La trama: Sergio, un omicidio e una vita in silenzio
Sergio Ciscar (Arón Piper) è stato sei anni in carcere per aver ucciso i genitori, gettandoli dal balcone del suo appartamento. Da quel momento è noto a tutti come "l'assassino del balcone". Da quando è accaduto il fatto, Sergio non parla più, rimane in silenzio. Una volta uscito dal carcere, con un anno di anticipo, torna a casa sua, proprio in quell'appartamento dove tutto è successo. Ma non è solo. Una psichiatra, Ana (Almudena Amor), lo studia da remoto, grazie a un complesso sistema di videosorveglianza, con una serie di telecamere installate in tutto il suo appartamento, e anche grazie alle videocamere sparse per la città. È un progetto speciale, che vuole monitorare il suo reinserimento nella società. Nel frattempo Sergio riallaccia i contatti con Marta (Cristina Kovani), una ragazza che aveva conosciuto durante il suo periodo di detenzione...
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Una serie che parla di voyeurismo
Ci sono tante angolature da cui provare a vedere In silenzio, la nuova serie spagnola targata Netflix. Il primo, intrigante, è legarla al voyeurismo. Un tema che, nel cinema prima che nella serialità televisiva viene da lontano, dal cinema di Hitchcock, con La finestra sul cortile e Psycho, o dal film cult Peeping Tom. Tutti film in cui lo sguardo diventava ossessione, che l'occhio fosse quello di una finestra e un binocolo, di un buco nel muro o quello di una macchina da presa. La tecnologia ha man mano potenziato e moltiplicato la possibilità di visione. Tanto che quella di oggi è la società della sorveglianza: ovunque andiamo siamo monitorati da videocamere di tutti i tipi, che ci seguono, dalle strade fino alle webcam dei nostri computer. Ce lo dicevano, già 30 anni fa, film come Sliver e poi Nemico pubblico, ce lo diceva Oliver Stone con il suo Snowden qualche anno fa. Da un lato, allora, In silenzio ci mostra come ogni nostro passo sia monitorato. Dall'altro, come nei film di cui sopra, come dietro la necessità di vedere ci sia sempre un'ossessione da parte di chi guarda. E proprio questa sarà una delle chiavi della serie. Che inizia parlando dell'osservato, e finisce parlando anche dell'osservatrice.
Arón Piper da Èlite a In silenzio
Un altro modo di presentarvi In silenzio è che è la nuova serie Netflix che arriva dalla Spagna. Dall'exploit mondiale de La casa di carta, la serialità spagnola è diventata di tendenza e ha generato un piccolo microcosmo che spesso si alimenta al suo interno, creando sinergie e passaggi di testimone. Da La casa di carta ci siamo subito interessati ad Élite, in cui recitavano alcuni degli attori di quella serie. Così oggi la nostra curiosità è per alcuni degli attori della serie che recitano qui. Il protagonista è Arón Piper, l'Ander di Èlite. Qui recita in un ruolo completamente diverso, agli antipodi. Da ragazzo sensibile, che esprimeva i suoi sentimenti, qui Piper diventa un ragazzo scontroso, urticante, che non parla mai, o quasi, che si presenta duro come una roccia. Il suo lavoro sul personaggio è notevole, ed è aiutato anche dal reparto del trucco. Il suo look, fatto di baffi radi, un tatuaggio sullo zigomo e un taglio di capelli con rasatura ai lati, è creato ad arte per sporcare il suo viso e renderlo quello di un ragazzo difficile. Accanto a lui, da Elite arriva anche Manu Ríos, che in quella serie era Patrick e qui è il fidanzato di Marta, anche lui con un'interpretazione più sobria rispetto a quella di Èlite.
Almudena Amor e Cristina Kovani
Accanto a loro spiccano anche le interpreti femminili, che, al pari del protagonista, sono il motore del film, per come i loro volti bucano lo schermo e per come i loro personaggi interagiscono con Sergio. Ana, la psichiatra che osserva Sergio con una dedizione che sembra andare oltre la sua professione, è interpretata da Almudena Amor, che ci aveva già affascinato nel film Il capo perfetto, e di cui avevamo scritto "uno sguardo particolarissimo, allungato e tagliente, e un fisico slanciato e nervoso". C'era anche il suo sorriso coinvolgente, che qui non vediamo mai. Con un look più sobrio, i capelli più corti, un caschetto mosso a incorniciare il viso quegli occhi a mandorla castani, Almudena qui è pensosa e dolente. Accanto a lei, la rivelazione è Cristina Kovani, giovanissima (ha 22 anni), occhi neri, volto da bambina e labbra carnose, un volto che potrebbe diventare quello di una star.
In silenzio è diversa dalle altre serie spagnole
È inevitabile confrontare In silenzio con le altre serie spagnole che, su Netflix, vanno per la maggiore, Élite ma anche le serie della Vancouver Media di Álex Pina, La casa di carta, Sky Rojo e White Lines. In silenzio sembra essere il loro opposto: sobria, cupa, essenziale. L'atmosfera è plumbea, un mondo dove piove di continuo come in Seven e ogni giornata sembra uggiosa e umida. Ed è claustrofobica, e non poteva essere il contrario, vista la storia che racconta. Dove le altre serie spagnole lavoravano per accumulo e per eccesso, In silenzio sembra lavorare di sottrazione, svuotando spazi e dialoghi per lasciare l'essenziale. La fotografia desaturata lavora sulle sfumature di grigio lasciando di tanto in tanto risaltare alcuni colori primari, come il rosso del sangue e del piumino di Marta, novella Cappuccetto rosso (forse) in pericolo accanto al lupo. Non siamo a Madrid né a Ibiza, ma a Bilbao. In comune con le serie di cui parliamo ha il senso del colpo di scena, e anche quel senso di claustrofobia che i luoghi chiusi comportano. L'appartamento di Sergio, l'ufficio di Ana, ma anche la serra dove il ragazzo lavora per reinserirsi, sono piccole prigioni che schiacciano i protagonisti. Come lo erano la Zecca di Stato e poi la Banca di Spagna, il bordello di Romeo e la scuola per ricchi Las Encinas.
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Quella telecamera che non funziona
In silenzio è una serie che si segue con attenzione per come riesce a creare attesa per la storia, e anche empatia con i protagonisti. È un'empatia limitata, per come il tono della serie è volutamente raggelato. La storia ha delle svolte inattese e tutto sommato coerenti, fino a un sottofinale in cui si tratta di stare al gioco e credere. È un "momento what the fuck", come direbbero i responsabili di Netflix che vediamo nel film di Nanni Moretti. Che poi, chissà se a Netflix lo chiamano davvero così. Il finale vero e proprio, aperto e ambiguo, è un cerchio che si chiude e che ci lascia in sospeso. Quella telecamera che non funziona più, che manda un'immagine indefinita e traballante, e allo stesso tempo crudele e poetica. Ed è una di quelle inquadratura da grande cinema. Anche se siamo in tv.
Conclusioni
Come vi abbiamo raccontato nella recensione di In silenzio, si tratta di un prodotto molto diverso dalle altre serie tv spagnole disponibili su Netflix; più sobria, cupa, dolente e ipnotica. È una serie che ci parla di traumi, di immagini e di controllo, che si presta a più chiavi di lettura. E che, questa è la cosa più importante, tiene incollati allo schermo
Perché ci piace
- La riflessione sull'immagine, sulla società del controllo e sull'ossessione di chi guarda.
- Il tono della serie, cupo, freddo e dolente, diverso dalle altre serie spagnole.
- La prova attoriale di Arón Piper, qui in una veste per lui inedita.
Cosa non va
- Alcune svolte narrative e quella finale possono mettere alla prova lo spettatore, ma nel complesso reggono.