Si parla di morte, di fotografia e di cinema in Imago Mortis, ma questo film per ironia della sorte segna il ritorno alla vita di un genere che in Italia era tragicamente scomparso o comunque sepolto sotto le sue ceneri da più di vent'anni. E' un horror cupo, dalla componente gotica assai spiccata, un film che ricalca un po' le recenti divagazioni orrorifiche di produzioni spagnole quali quelle di Balaguerò, Amenábar e Del Toro. Forse un film un po' meno commerciale dei sopra citati ma che dalla sua ha una sceneggiatura molto ben congegnata e ricca di affascinanti digressioni storiche.
La storia narra di Bruno, uno studente spagnolo di regia in una scuola di cinema intitolata al grande Murnau, il quale dopo aver attraversato un periodo difficile per la morte dei suoi genitori si ritrova ad avere strane visioni. Il suo stato di confusione viene ulteriormente appesantito dai pesanti turni di notte passati a lavorare nell'archivio della scuola e dalle difficili e inquietanti prove di fotografia assegnate in classe nel corso del professor Olinski. Con l'aiuto della sua compagna di classe Arianna, Bruno seguirà il suo istinto e i suggerimenti di queste sue strane apparizioni, arrivando, dopo una serie di sanguinosi omicidi, alla soluzione dell'agghiacciante mistero che da anni si nasconde all'ombra dell'istituto.
E' così che l'esordiente Stefano Bessoni, con passione ed uno spiccato senso estetico, è riuscito laddove hanno fallito un po' tutti negli ultimi vent'anni, a partire dal padre putativo dell'horror made in Italy più conosciuto al mondo Dario Argento. Con Imago Mortis si vede finalmente qualcosa di nuovo, qualcosa in grado di far rinascere la speranza e la passione nel cuore di tutti gli orrorofili ed appassionati di un genere che ha attraversato la storia del cinema sin dagli albori e che in Italia ha raggiunto l'apice del successo grazie a maestri come Riccardo Freda, Mario Bava, Lucio Fulci e Pupi Avati, del quale il regista romano è stato anche aiuto.Costato circa tre milioni di euro ed ideato, diretto e scritto dallo stesso Bessoni a quattro mani con lo sceneggiatore Luis Berdejo (apprezzato autore del Rec di Balaguerò), Imago Mortis ha come protagonista principale nei panni di Bruno l'attore spagnolo Alberto Amarilla (già interprete di Mare Dentro di Amenábar), affiancato dalla bella Oona Chaplin (nei panni di Arianna) che del tutto casualmente si è ritrovata a lavorare sul set con mamma Geraldine, l'imperscrutabile Contessa Orsini, proprietaria della scuola.
Abbiamo incontrato il cast, accompagnato dalla produttrice Sonia Raule (direttore della Pixstar), presso la Casa del Cinema di Roma in occasione della presentazione ufficiale del film, che arriverà in ben 200 sale in anteprima mondiale a partire da venerdì 16 gennaio. Cosa ha spinto Stefano Bessoni a realizzare un film horror come Imago Mortis andando decisamente contro corrente in un paese in cui il genere sembra morto e sepolto da decenni?
Stefano Bessoni: Dietro c'è una grande passione per questo tipo di film, sin da quando ero ragazzo ho sempre amato i film dell'orrore e per il mio primo grande passo verso il cinema avevo desiderio di iniziare proprio con un horror. Nonostante sia stato molto difficile trovare in Italia qualcuno disposto a produrre e a seguire il progetto alla fine, dopo anni di gestazione della sceneggiatura e due anni pieni per la realizzazione vera e propria, ci sono riuscito grazie al coraggio della Pixstar e alla mia caparbietà. La mia intenzione era quella di dare il via anche da noi come in Spagna e Francia, ad una nuova era per il cinema horror.
Quindi una sceneggiatura complessa alla base di Imago Mortis che ha visto molte riscritture. A che tipo di cinema sente di essersi ispirato maggiormente?
Stefano Bessoni: La scrittura del film mi è costata diversi anni di lavoro e non faccio alcuna esagerazione dicendo che ci saranno state dalle trenta alle trentacinque riscritture dello script. Si sono avvicendati molti autori tra i quali spicca il nome di Richard Stanley (regista e sceneggiatore di origine sudafricana autore di cult dell'orrore come Hardware e Demoniaca, ndr), ma la versione definitiva, quella che avete visto nel film è il risultato della mia collaborazione con Berdejo. Le ispirazioni sono molteplici, dal passaggio obbligato all'horror espressionista tedesco degli anni '30, dal quale abbiamo preso molto, a quello moderno della nuova ondata spagnola, al quale mi sento molto più legato e assai più vicino come personalità.
Si parla di fotografia in questo film, ma soprattutto si parla di cinema, un cinema che produce follie. Una metafora per sottolineare come oggi per fare un film si sia disposti a qualunque cosa?
Stefano Bessoni: Il cinema per me è stata sempre un'ossessione, e quando ce l'hai devi conviverci e fare di tutto per alimentarla. Nel film si parla di un'antica tecnica usata per imprimere le immagini e ottenere così l'illusione di fermare il tempo. Il cinema per me è stata la stessa cosa, riuscire a imprimere le immagini su una pellicola e a imprigionare materialmente quell'idea per sempre dona l'illusione di essere quasi invincibili, di poter riuscire in qualcosa di impossibile. Mi identifico molto nel professore della scuola, come lui ero disposto a tutto per portare a termine il mio film, di certo non sarei arrivato ad uccidere ma in senso generale è un personaggio in cui, in qualche modo, mi rispecchio.
Geraldine Chaplin: Ho accettato molto volentieri di partecipare a questo film dopo aver letto la sceneggiatura, l'ho trovata accurata, avvincente e anche molto toccante nonostante i temi trattati. Mi affascinava più di tutto questa ossessione dei personaggi per il momento della morte, ho sempre pensato alla fotografia come un mezzo tecnico capace di fermare il tempo e rubare l'anima di chi viene ritratto. Ho avuto anche degli incubi sull'argomento, riguardando mie vecchie foto a volte ho avuto come l'impressione che quella donna sulla foto mi stesse fissando e non il contrario. Mi terrorizzava letteralmente l'idea che qualcuno in passato fosse arrivato a strappare gli occhi a delle povere vittime pur di riuscire ad imprimere le immagini e a fermare il tempo nell'istante della loro morte.
Tornando alle ossessioni, qual è stata la sua più grande ossessione riguardo il mondo del cinema?
Geraldine Chaplin: La mia più grande ossessione nonché la mia più grande ambizione è tuttora quella di lavorare a film stimolanti fino al giorno della mia morte, non sopporterei di rimanere senza lavoro. Purtroppo è facile a dirsi ma quasi impossibile a farsi, nel 99% dei casi gli attori oltre una certa età si ritrovano disoccupati.
Lei che è un giovane attore spagnolo forse può dirci il motivo per cui questi film vanno così bene nel suo paese e vengono invece totalmente ignorati in Italia...
Alberto Amarilla: Quello che stiamo vivendo in Spagna è un momento molto importante sul piano culturale e artistico, una sorta di rinascita sotto tutti i punti di vista. Nonostante però i due paesi siano così vicini e simili, in Italia questo rinnovamento purtroppo non è ancora iniziato, forse perché in passato ha conosciuto momenti talmente straordinari che ora un calo è più che legittimo e anche inevitabile.
Alberto Amarilla: Ho scoperto la sua forza, la grinta che tutti mettono nel proprio lavoro, il talento di un regista che è stato capace di creare un mondo tutto suo, quasi una realtà parallela in cui far fluttuare tecnica, storia e modernità senza stonature, in cui i personaggi riescono a muoversi con naturalezza nonostante l'irrealtà di alcune situazioni. Mi è bastato guardare negli occhi Stefano per capire come avrebbe dovuto essere il personaggio di Bruno, che io considero un po' il suo alter ego, come un catalizzatore della sua energia.
Lei interpreta Bruno, uno studente che ha perso un po' il contatto con la realtà...
Alberto Amarilla: Bruno ha perso la sua famiglia e con essa anche le sue radici, la sua identità. Ogni giorno deve ricordare a se stesso chi è e dove sta andando, si sente quasi un estraneo in quello che fino a poco tempo fa era il suo ambiente. Nel suo cuore coesistono la voglia di vita, d'amore e di cinema, ma c'è anche la morte e la paura. Deve compiere il suo viaggio per arrivare alla verità, e può farlo solo grazie alla sua forza di volontà.
A quale pubblico è diretto secondo lei un film come Imago Mortis?
Alberto Amarilla: Non è a mio avviso un film diretto solo agli appassionati o ai cultori di genere, Imago Mortis è stato concepito per tutti quegli spettatori che sono alla ricerca di opere che abbiano un senso profondo che va oltre le immagini e oltre gli effetti speciali. Si parla anche d'amore nel film, di quell'amore capace di aiutare a superare l'oscurità dell'anima, di un amore che riporta alla realtà e che sconfigge i fantasmi, di un viaggio iniziatico, di un conflitto assai forte tra follia e sanità mentale, tra sogno e realtà.