Recensione Terra di confine (2004)

Con questo film, Costner si conferma un ottimo regista, al momento unico erede di quel cinema carico di classicità, emozione, etica ma al tempo stesso anche modernità che vede in Clint Eastwood il suo re incontrastato.

Il West secondo Costner

A quattordici anni dall'uscita del suo esordio nella regia, Balla coi lupi, Kevin Costner torna a dirigere un western, Terra di confine, confermandosi come uno dei migliori interpreti contemporanei del genere e come regista intenso e capace. Così come nel film del 1990 e negli altri da lui diretti, Costner è anche protagonista del suo film, vestendo i panni di un uomo silenzioso e disincantato di nome Charley Waite, diventato cowboy dopo trascorsi da pistolero. Con il suo collega Boss Spearman - per lui una figura quasi paterna - Charley si trova costretto a lottare contro l'arrogante e spietato proprietario terriero di una città vicina, che li aveva attaccati accusandoli di aver fatto pascolare la loro mandria su un terreno ritenuto di sua proprietà. Per Charley, che mirava solo a rimanere lontano dai guai, sarà inevitabile arrivare ad una sanguinosa resa dei conti.

Terra di confine è un film dal respiro ampio e grandioso, che si rifà pienamente all'estetica e all'etica del western classico, riempiendole di significati e di valenze profondamente attuali. Un film dal ritmo lento e quasi riflessivo, contrastante con le accelerazioni ossessive della modernità cinematografica e non, che si apre con una lunga panoramica su terre splendide e selvagge, terre ancora libere, anche se per poco: una panoramica che da sola racconta moltissimo di questo film, tutto giocato sull'ambivalenza tra un'era che si sta chiudendo (quella dei pascoli aperti, dei grandi spazi, dei cowboy) e una che sta per sostituirla (quella delle recinzioni, delle città, dei proprietari e dei padroni).
Un'ambivalenza che è riflesso di quella insita nella mente e nella psicologia del protagonista, un uomo combattuto tra passato e futuro, tra la conservazione e il cambiamento, un cambiamento che al tempo stesso lo attrae e lo spaventa.
Charley Waite è tormentato dai fantasmi del suo passato ma anche legato ai valori che esso rappresenta, e vive la vita senza guardare al futuro, concentrandosi sul presente. Ma quando si trova a mettere piede nella Città, nel luogo simbolo del futuro e del progresso, contrapposto agli spazi aperti ed incontaminati della Natura, è costretto ad alzare lo sguardo e affrontare il bivio che gli si pone di fronte.
Un bivio incarnato anche da una donna - Sue, interpretata da Annette Bening - che conoscerà e di cui s'innamorerà, ricambiato. Una donna simbolo della possibilità di conciliare quello che era ed è con quello che potrebbe essere, in grado di permettergli quello che oggi verrebbe definito uno "sviluppo sostenibile", un modo di accettare la modernità senza lasciarsi schiacciare da essa.
Non a caso Sue, questo il nome della donna, abita sì la città, ma vive ai suoi margini, nello spazio che rappresenta la soglia tra i grandi spazi aperti e la città, tra natura e cultura. Ma per accettare il cambiamento, per evolvere, Charley sarà costretto ad affrontare la catarsi, a mettere in gioco il suo passato, usandolo per superare ed annientare i lati oscuri e insidiosi della modernità, rappresentati dal perfido ranchero.

Terra di confine è un film classico ed epico, fiero di esserlo, e per questo si rifiuta di stemperare la dimensione mitica della sua storia e dei suoi protagonisti con gli ammiccamenti tipici del postmodernismo cinematografico. Ottimi gli interpreti, dallo stesso Costner ad uno straordinario Robert Duvall, da Annette Bening, forte e delicata allo stesso tempo, al Michael Gambon cattivo di turno. Ottimo l'utilizzo dei luoghi, delle situazioni, delle figure iconiche del genere western. Con questo film, Costner si conferma un ottimo regista, al momento unico erede di quel cinema carico di classicità, emozione, etica ma al tempo stesso anche modernità che vede in Clint Eastwood il suo re incontrastato. Non a caso, qualcuno ha definito Terra di confine il miglior western visto al cinema dai tempi de Gli spietati. E noi sottoscriviamo in pieno.