Recensione L'ultima follia di Mel Brooks (1976)

Il Silent movie di Mel Brooks è un viaggio nostalgico ed esilarante lungo il viale del tramonto del cinema moderno. Con i mezzi del cinema muto, i grandi attori del presente e i continui fuochi d'artificio di gags d'altri tempi.

Il viale della risata

Parlando di Mel Brooks il pensiero di solito cade su Frankenstein Junior e Mezzogiorno e mezzo di fuoco, pellicole che hanno l'indiscutibile merito di aver messo d'accordo pubblico e critica. L'ultima follia di Mel Brooks, meno fortunato in termini di successo, tra le sfacciate parodie dei generi cinematografici proposti dal regista americano dovrebbe collocarsi nell'ambito della personalissima "distruzione" del film muto. E invece ne esce fuori uno dei più commoventi omaggi alla storia della slapstick comedy dei Mack Sennett, dei Three Stooges (evocati direttamente dai tre protagonisti), dei fratelli Marx e via discorrendo.

Se di omaggio si tratta è pur sempre un omaggio critico che accomuna lo sguardo nostalgico verso il passato ad una fortissima reticenza nei confronti del cinema moderno. Non ci sembra azzardato di conseguenza paragonare il film muto di Mel Brooks a quel grande e insuperato monumento al cinema delle origini che è Viale del tramonto di Billy Wilder (il "no" di Marcel Marceau come il "passo" di Buster Keaton). In L'ultima follia di Mel Brooks, però, il ritmo forsennato, la rinuncia esplicita al bianco e nero e l'happy ending di ovvia routine stabiliscono l'indiscutibile carattere comico della pellicola, nonostante la "dolente" storia che ne è alla base: quella del regista ex-alcolizzato (Mel Spass/Mel Brooks), ormai ai margini del settore, che decide di rientrare in pista in modo a dir poco azzardato, proponendo, cioè, alla sua vecchia casa di produzione Big Pictures (a capo della quale troviamo uno strepitoso Sid Caesar) il copione di un film muto. Scelta folle, scelta improponibile per una Big Pictures che se la (s)passa male rischiando di essere inglobata dalla Trangugia & Divora (Engulf & Devour), adattamento pleonastico della multinazionale Gulf & Western che tra gli anni Sessanta e Ottanta fece incetta di 80 compagnie tra le quali la Paramount tanto cara, guarda caso, a Norma Desmond. Mel Spass, probabilmente non dimentico della memorabile frase della diva caduta in disgrazia del film di Billy Wilder, troverà la soluzione al problema: per fare tornare grande la Big Pictures con il suo film muto occorrono grandi attori perché sono i film ad essere diventati piccoli.

Tra gags incredibili e incresciosi "incidenti" di percorso, il nostro caro regista e i suoi sgangherati assistenti (uno scatenato Dom DeLuise e un fenomenale Marty Feldman che, fosse nato quaranta anni prima, l'avremmo annoverato tra le sicure stelle del cinema muto) partiranno alla ricerca di divi hollywoodiani disposti ad essere "trangugiati" in questa bizzarra impresa. All'appello risponderanno entusiasticamente (con una paga "vera" di 300 dollari al giorno cadauno: una bazzecola) gente del calibro di Burt Reynolds, James Caan, Liza Minnelli, la compianta consorte di Mel Brooks Anne Bancroft e Paul Newman. L'unico a rispondere "NO!", e a gran voce, al progetto di Mel Spass sarà invece Marcel Marceau, lui mimo che, paradossalmente, entrerà nel Guinness dei primati per aver recitato la battuta più breve nella storia del cinema sonoro! Con Mel Brooks, quindi, nulla è impossibile: neanche essere strabiliati e fare il pieno di risate con un film muto a colori nel 1976!