Il 21 ottobre del 1984 scompariva, troppo prematuramente, a 52 anni, François Truffaut, una delle personalità più significative del paesaggio culturale del XX secolo, non solo per la sua attività di cineasta - e marginalmente di attore (Effetto notte e Incontri ravvicinati del terzo tipo) -, ma anche per il suo ruolo di critico cinematografico e di amante appassionato di libri e film (amore celebrato in molte pellicole, in particolare Fahrenheit 451, basato sulla distopia letteraria di Ray Bradbury).
Protagonista a partire degli anni Cinquanta, insieme a Jacques Rivette, Claude Chabrol ed Eric Rohmer, di una stagione memorabile del cinema francese - e mondiale -, Truffaut fu una delle figure catalizzatrici di una rivoluzione sovversiva, ribattezzata non a caso nouvelle vague, tale fu il suo impatto sul costume, il linguaggio filmico, il modo di concepire la cinefilia e la regia.
Materializzando l'intreccio ma anche lo scarto tra cinema e vita, Truffaut ha realizzato opere intime e personali ma comunque votate e rivolte allo spettatore, ispirandosi a quel cinema classico hollywoodiano che ha contribuito a rivalutare sulle pagine dei Cahiers du Cinéma, fondati da André Bazin, il padre putativo oltre che il mentore del giovane François, il cui vero padre stentò invece a riconoscerlo legalmente.
Il regista ha dato un corpo e un senso alla politica degli autori (secondo la quale il regista attraverso i film deve esprimere una sua personale visione del mondo), sviscerando a fondo l'opera di maestri dell'industria americana, fino ad allora incompresi dalla critica ufficiale e impomatata: Il cinema secondo Hitchcock è la summa di questa linea ideologica e pragmatica, un libro - intervista che viene tramandato di generazione in generazione, per rammentare al mondo l'esclusiva eccezionalità ed efficacia comunicativa delle pellicole di Alfred Hitchcock, con il quale Truffaut condivide la capacità di drammatizzare il materiale narrativo e l'abilità di raccontare attraverso uno stile denso di significati.
Ingiustamente accusato di cercare a tutti i costi il compromesso tra istanze commerciali e vocazione autobiografica, Truffaut ha invece sperimentato a fondo le possibilità offerte dalla struttura filmica, contaminando generi (il noir, il gangster movie, il melodramma) e soluzioni estetiche eterogenee (il fermo immagine, il mascherino mutuato dal cinema muto), raggiungendo risultati inediti e straordinari, come nel ciclo esistenzial-cinematografico di Antoine Doinel. Alter ego dell'autore della sceneggiatura di Fino all'ultimo respiro, Antoine Doinel è seguito con affetto e partecipazione emotiva dalla macchina da presa del regista, dall'adolescenza de I quattrocento colpi e Antoine e Colette (episodio de L'amore a vent'anni), fino alla maturità sofferta di Baci rubati, Non drammatizziamo... è solo questione di corna, L'amore fugge.
Cantore della solitudine dei bambini (Gli anni in tasca), ma anche degli adulti, spesso coinvolti in laceranti triangoli amorosi (Jules e Jim, La calda amante, Le due inglesi, L'ultimo metrò) o in disperati vortici sentimentali (Adele H., La signora della porta accanto), Truffaut ha colto e tratteggiato l'ambiguità e l'instabilità della coppia, l'illusorietà della felicità, entrambe rese più vacue dalla fuga inarrestabile del tempo.
Per questo, a vent'anni dalla sua morte, viene ancora ricordato, citato, gelosamente custodito da quanti hanno amato la sua opera.
"Per voi non è nient'altro che un film, per me è la vita intera" (François Truffaut).