Il (tele)film di Abrams
Breve cronistoria registica della serie cinematografica di Mission: Impossible. Nel 1996 il primo film viene diretto da Brian De Palma; nel 2000 un primo sequel porta la firma di John Woo. Nel 2005 Tom Cruise, star e produttore della serie, vuole fortemente un terzo capitolo delle avventure di Ethan Hunt e sceglie Joe Carnahan (regista di Narc, film che proprio Cruise contribuì a far distribuire nelle sale americane). Ma Carnahan non sembra voler cedere la propria indipendenza in nome della riconoscenza a Cruise e presto abbandona il progetto per via di non meglio identificate divergenze creative (sottinteso: con Cruise). Dopo alcune settimane di ansie, ecco annunciato il nome del nuovo regista: J.J. Abrams, re delle serie televisive a stelle e strisce, creatore e autore di prodotti come Alias e Lost. Mettendo da parte Carnahan (comunque uomo di cinema, in più di un senso), ha stupito molti la scelta di un nome come quello di Abrams per succedere a calibri registici e autoriali come De Palma e Woo. Indipendentemente da ogni giudizio di merito sui loro film, i due registi hanno infatti firmato pellicole dove è indubbiamente riconoscibile il loro marchio cinematografico, ed erano in molti a pensare che Abrams potesse adagiarsi su uno stile anonimo e poco incisivo alla sua prima, impegnativa esperienza con il grande schermo. Nulla di più sbagliato, perché Abrams ha realizzato con Mission: Impossible III un film fortemente personale, persino (da certi punti di vista) autoriale, e lì dove la sua mano ed il suo stile sono più evidenti ecco che il film vive i suoi momenti migliori.
Mission: Impossible 3, nelle sue linee generali, è un blockbuster a tutti gli effetti, con tutto quello che questa definizione implica in termini positivi e negativi: un film ad alto potenziale d'intrattenimento, senza respiro, adrenalinico, pirotecnico ed esplosivo. Fin troppo, proprio perché (e lo diciamo da subito) soprattutto dalla metà del film in avanti questa spettacolarità inizia a divenire risaputa e ripetitiva, annoiando gli spettatori dai palati più esigenti. Eppure, paradossalmente, questo limite serve a dimostrare l'importanza della mano del regista: il grande merito (forse inconsapevole, ma poco importa) di J. J. Abrams è quello di aver fatto di M:I:3 una sorta di film-provetta dove mostrare al pubblico di tutto il mondo le reazioni derivanti dall'incontro (più che dallo scontro) di due modelli: un modello più tradizionalmente cinematografico ed uno invece proveniente da quello delle serie tv contemporanee - serie che come molti osservatori hanno fatto giustamente notare oggi propongono strutture ed innovazioni stilistico-narrative ben più interessanti di quelle della maggior parte del cinema mainstream.
Se parlavamo di mano autoriale di Abrams ci riferivamo infatti proprio alla positiva sfacciataggine con la quale il regista ha fatto di M:I:3 una sorta di puntatone dilatato (e con personaggi diversi) di Alias. Al posto di Sydney Bristow c'è Ethan Hunt, ma il tema della conciliazione tra attività professionale e vita privata è sempre lo stesso; così come le stesse o quasi le pianificazioni e le esecuzioni delle missioni, l'uso dei travestimenti, il mescolare i sentimenti personali del protagonista con le sue vicissitudini lavorative.
E ancora: forte dell'esperienza maturata in campo televisivo, Abrams ha avuto l'intelligenza di costruire M:I:3 non esclusivamente intorno al personaggio di Cruise (errore ad esempio compiuto da Woo) ma di mettere in pratica quella strategia televisiva (ma non solo) che fa risaltare l'eroe attraverso l'utilizzo, l'importanza e l'attenta caratterizzazione dei personaggi secondari - dai colleghi al villain di turno - e di dare importanza al centro dell'azione attraverso una sottolineatura dei momenti apparentemente interlocutori.
Insomma, autore di una delle televisioni più cinematografiche degli ultimi decenni, Abrams ha dato vita ad un film positivamente televisivo. E non a caso la maggior parte dei limiti e dei difetti del film, pur presenti, emergono proprio quando il regista cerca di fare del "puro" cinema - o meglio, quando si limita a mettere in scena bang bang, esplosioni e sgommate.
La rilevanza di M:I:3 si ritrova (quasi esclusivamente) in questo: nell'aver mostrato come due linguaggi che tradizionalmente si percepiscono lontani e differenziati come quelli televisivo e cinematografico - perlomeno di un certo cinema - oggi siano (debbano essere?) positivamente vicini e necessariamente si debbano contaminare a vicenda per permettere un'evoluzione reciproca.
Poi si potrebbero fare molte altre annotazioni (dalla performance di Philip Seymour Hoffman che illumina il film ad ogni sua apparizione, alle battute scritte per Laurence Fishburne passando per le belle Michelle Monaghan e Keri Russell - quest'ultima già protagonista di Felicity, altra serie firmata da Abrams). Ma sarebbero, nel complesso, superflue.