Recensione Astro Boy (2009)

Lo spunto di partenza, ovvero la creazione del robottino da parte del Dr. Tenma, viene infatti inserito in un contesto del tutto inedito: Astro Boy deve vedersela con il presidente in carica della futuristica città di Metro City, che per ottenere la vittoria alle future elezioni decide di attuare una politica militarista.

Il robot bambino

Il 1963 è una data fondamentale per l'animazione giapponese: Fuji Tv trasmette per la prima volta una serie televisiva animata, con episodi a cadenza settimanale. Quell'anime (il termine verrà coniato proprio in questa occasione) è Astro Boy (in originale Tetsuwan Atomu), mentre il suo creatore è Osamu Tezuka, di gran lunga la personalità più influente nello sviluppo dell'industria animata nipponica. Tezuka adatta per il tubo catodico un personaggio divenuto già popolarissimo attraverso la serie manga omonima, da lui stesso ideata nel 1952. Nonostante la scarsità di risorse finanziarie e di mezzi tecnologici a disposizione, il regista riesce, attraverso soluzioni inventive e audacissime per l'epoca, a dare vita a una pietra miliare nella storia dell'animazione, che costituirà la base per tutte le produzioni televisive degli anni successivi. Il personaggio di Astro Boy, robottino dalla forza sovraumana ma dal cuore tenero, costruito dal Dr. Tenma a immagine e somiglianza del figlio Tobio tragicamente scomparso, diventa subito una vera e propria icona della cultura popolare. La serie di Tezuka - che darà origine a tutto il ricchissimo filone cibernetico dell'animazione giapponese - innesta in un'ambientazione fantascientifica contenuti appartenenti alla letteratura per l'infanzia occidentale, da Collodi a Dickens: Astro Boy, novello Pinocchio di circuiti elettronici, è alla costante ricerca della sua umanità e dell'accettazione da parte del "padre".

Data l'importanza storica del personaggio - una sorta di equivalente di Topolino in Giappone quanto a popolarità e influenza nell'immaginario collettivo - stupisce quindi che nei titoli di testa del film (almeno nella sua versione italiana) non ci sia traccia di Tezuka. Ma, pensandoci bene, è più giusto così: il film americano di David Bowers può dirsi solo lontanamente ispirato all'opera originale; mentre non rimane quasi traccia della cifra del maestro nipponico per quanto attiene sia ai contenuti, sia all'aspetto prettamente visivo. Appare abbastanza chiaro come in questo caso Astro Boy rappresenti soprattutto un marchio, un nome dotato di una certa notorietà da sfruttare per motivi commerciali, poco curandosi della fedeltà d'adattamento.
Lo spunto di partenza, ovvero la creazione del robottino da parte del Dr. Tenma, viene infatti inserito in un contesto del tutto inedito, che ambirebbe anche a introdurre dei sottotesti di tipo politico. Astro Boy, infatti, deve vedersela con il presidente in carica della futuristica città di Metro City, che per ottenere la vittoria alle future elezioni decide di attuare una politica militarista. La sceneggiatura tenta anche di inserire alcuni riferimenti all'attualità statunitense (ma applicabili anche al contesto italiano), giacché il presidente si rifiuta di partecipare ai dibattiti elettorali, mentre il suo motto è "This is not the time for a change". Ma si tratta di innesti che non si amalgamano bene con la restante porzione di plot e che stonano con il contesto di partenza in cui è calato il film. Alla struttura narrativa portante, infatti, si inserisce un ulteriore sviluppo quando Astro Boy, cacciato via dal Dr. Tenma pentitosi della sua creazione, finisce in una discarica di robot situata ai piedi della città aerea di Metro City. Il robottino viene adottato da una banda di trovatelli al servizio dell'inventore Hammeg, che costruisce androidi con pezzi di scarto e li fa scontrare in arene da combattimento. Qui Astro Boy conosce Cora, spavalda ragazzina fuggita di casa ma che sotto sotto sente la mancanza dei i suoi genitori, e con lei instaura un rapporto di complicità e solidarietà.
L'impressione è che la realizzazione del film, andata incontro a svariati problemi di natura finanziaria e produttiva, sconti la fragilità di diverse riscritture della sceneggiatura e il passaggio di consegne a differenti registi, ultimo dei quali il pur bravo David Bowers, qui però alle prese con un progetto che non pare sentire particolarmente suo.
Anche sul piano stilistico, le scelte di character design sono improntate su una linea di standardizzazione verso i modelli americani. Il tratto originale di Osamu Tezuka (omaggiato nel film solo nei progetti del Dr. Tenma e in una comparsa che assume le sue fattezze), viene ridimensionato in modo da divenire più realistico e in sintonia con l'appeal degli attuali teenager occidentali. In questo modo lo stile grafico finisce però per risultare poco incisivo e difficilmente distinguibile dalla miriade di prodotti d'animazione 3D che negli ultimi anni si affollano nei cinema. A meno che non si faccia parte di una fascia di pubblico prettamente infantile, rimane ben poco di memorabile dopo la visione: giusto qualche sequenza d'azione e i siparietti di una triade di robot svalvolati (doppiati in italiano dal Trio Medusa), che inneggiano alla "Robot-oluzione" e appendono nel loro covo i manifesti di Lenin, Trotsky, ma anche di Bruce Lee.

Il doppiaggio italiano, affidato a Silvio Muccino (Tobio / Astro Boy), Carolina Crescentini (Cora) e al Trio Medusa), nonostante i pregiudizi a priori, è forse una delle cose che funzionano di più. Non saranno i Kristen Bell, Nicolas Cage e Donald Sutherland della versione originale, ma almeno svolgono il loro lavoro con professionalità e senza lo scadere in macchiette. E, visti precedenti come la performance di Dj Francesco in Robots e quella di Jerry Calà nel recente Biancaneve e gli 007 nani non è un fatto per niente scontato...