Il ritorno di Casanova, la recensione: Gabriele Salvatores per un'elegante e feroce riflessione sul tempo

La recensione de Il ritorno di Casanova: cinema, arte, vecchiaia, il tempo, l'amore. Tra i colori saturi e un acceso bianco e nero, il film di Gabriele Salvatores è un film da non perdere. Protagonisti Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio.

Il ritorno di Casanova, la recensione: Gabriele Salvatores per un'elegante e feroce riflessione sul tempo

Il ritorno di Casanova è una partita di ping pong. Colpo e rovescio, batti e ribatti. Tic e tac, da una parte all'altra di un tavolo spaccato a metà, conteso da due opposte visioni. Il cinema, assoluto e consolatorio, e la realtà, assuefatta e sfuggente in nome di una costante ricerca di identificazione. In mezzo l'arbitro intransigente, che guarda avanti senza mai voltarsi: il tempo. Una riflessione potente ed elegante, sinusoidale e sapientemente drammatica, se non fosse per l'umorismo - pervasivo e svagato - ad alterare il chiaro e lo scuro che rimpalla i colori accesi di un film nel film, frullando amore, vecchiaia, egocentrismo, arte, egoismo. Potremmo dire che Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores, oltre essere uno dei migliori del regista di Nirvana e Mediterraneo, è un forte atto d'amore nei confronti del cinema stesso, estrapolando la storia dall'omonimo racconto del 1918 firmato da Arthur Schnitzler per adattarla in un confine sfocato, suadente ed estetico.

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

Un'estetica che, però, non scorda la sostanza e l'ardore, trasmessa sui dolenti personaggi che giostrano in una Milano pigra ed esistenziale (come il protagonista), aperta eppure chiusa dentro una scatola stracolma di ricordi e di fantasmi. Del resto, quello di Salvatores, che di certo non ha bisogno di insegnamenti, è cinema purissimo e preciso, ma anche una feroce resa dei conti, un duello a viso aperto in cui l'amore e la senilità fanno a cazzotti per avere la meglio. O, meglio ancora, per dire l'ultima parola in questo girotondo pensato in relazione a Federico Fellini o Jacques Tati (un'esagerazione? Non proprio). Intrecci e riflessioni, digressioni narrative e spaccati cinematografici (la sala di montaggio, dove armeggia un grande Natalino Balasso), per un nitido e lucido controcanto autoriale, irradiato dalla luce di una Serenissima all'alba, prima che il destino dei protagonisti si compia. In un senso o nell'altro, tra fuochi d'artificio o un singolar tenzone.

Il ritorno di Casanova: la trama del film

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

Perché dietro Il ritorno di Casanova c'è un percorso parallelo e continuo, biforcato e ricollegato al bancone di un bar, poco prima di un tripudio veneziano, sfidando l'ennesimo fenomenale trentenne lodato dalla critica e dal pubblico. Ma Salvatores mette al centro il Maestro e la maestria, rivelando solo alla fine la sua spregiudicata e infuocata fiducia verso i giovani, padroni di un destino non ancora del tutto formato. Scritto da Umberto Contarello e Sara Mosetti, al fianco dello stesso regista, il film traduce per immagini il genio e l'indolenza di Leo Bernardi, regista svogliato e ossessionato dalla tecnologia, scritto sulle misure attoriali di Toni Servillo.

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

Leo è atteso alla Mostra di Venezia, ma il suo nuovo film su Giacomo Casanova (interpretato da Fabrizio Bentivoglio) è ancora in alto mare: il montatore Gianni (Natalino Balasso) prova a mettere una pezza, passando le notti in studio, ma Leo si distrae, divaga, sbadiglia. Sfida Lorenzo Marino (Marco Bonadei), enfant prodige del nuovo cinema italiano che fa sbavare la critica, e intanto prova a ricucire la relazione con Silvia (Sara Serraiocco), giovane e caparbia contadina conosciuta sul set (perché l'opposto è il senso principale dell'amore e del cinema). Riuscirà ad essere a Venezia, riuscirà a mantenere il suo status quo, oppure i premi sul comodino, luminosi come una candela di cera, finiranno per bruciargli le mani? E soprattutto, come il Casanova da lui immaginato, ormai vecchio e decaduto, riuscirà ad ingannare il tempo, avendo la meglio?

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Aspettando l'alba

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

Ma se lo spunto de Il ritorno di Casanova è spassionatamente cinematografico, la sua idea narrativa è una profonda metafora della condizione umana, che fiorisce e appassisce in concomitanza con il ticchettare dell'orologio. Leo, personaggio sospeso e attanagliato dall'ansia, siamo tutti noi. Noi, alle prese con un'estenuante procrastinazione che - condizionale è d'obbligo - dovrebbe allontanarci dalle responsabilità e dalla maturità (il montaggio da finire, in questo caso, e quindi la fine di un lavoro che rende attivi e positivi), portandoci sul gradino più alto di un predellino da cui poter osservare, passivamente, la vita che scorre. Per ritrarre un tempo fermo ma sfuggente, Salvatores lavora sullo spettro visivo, tornando a lavorare con il direttore della fotografia Italo Petriccione che lo segue fin da Marrakech Express.

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

C'è il bianco e nero, coeso e sfavillante (ma spesso e volutamente sfocato), che avvolge e immortala la realtà come fosse una fotografia d'altri tempi, e ci sono i colori saturi di un cinema lussurioso e vellutato, che esaltano le gote incipriate di un Casanova ridicolo e spregiudicato nell'accaparrarsi l'effimera attenzione della bella Marcolina (Bianca Panconi), perché tanto "Io sono Casanova".

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Il ritorno di Casanova: una scena del film

Ma il racconto, che non lascia indietro parole né gesti e né personaggi, graffia sul paradigma odierno di un cinema che dimentica in fretta e vive di luce propria, rimbalzando nelle insinuazioni dei giornalisti-fan e nelle maestranze vitali nell'economia di un'industria che non può sopravvivere solo all'interno del set (dimensione celebrale e adatta dell'autore, e dunque vicina alla creatività rappresentata dalla figura di Leo Bernardi/ Toni Servillo). Del resto, se il regista onnisciente è il tempo (e non solo dentro Il ritorno di Casanova), che non aspetta ma anzi allunga il passo, Gabriele Salvatores spinge ad una dilatazione emozionale e pragmatica, fermandosi ad osservare le sfumature rosa di quell'alba, che cala dolcemente sui profili eterni di una sonnolenta Venezia. Quelli sì, davvero immortali e miracolosamente senza tempo.

Conclusioni

Una lucida e marcata riflessione sul cinema, sul tempo e sulla vecchiaia, per riassumere la recensione de Il ritorno di Casanova. Prendendo in prestito la storia di un indolente regista e del suo film su Giacomo Casanova, Gabriele Salvatores struttura in modo lineare e sorprendente un'opera tanto estetica quanto metaforica.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio.
  • La fotografia.
  • I parallelismi, narrativi e visivi.
  • I personaggi di supporto, tutti a fuoco.

Cosa non va

  • Potrebbe soffrire di un certo manierismo.