Impeccabile con la classica tenuta da intellettuale, lupetto nero abbinato alla montatura degli occhiali, Gabriele Salvatores in realtà sotto la maglia di lana sottile nasconde un tatuaggio dal significato contorto, come il tratto in cui è disegnato, che ha a che fare con la creatività e le filosofie orientali: ci spiega il suo significato facendo ampi gesti con le mani, ai quali porta anelli dalle grandi pietre.
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Due anime in una: proprio come la protagonista femminile di Il ragazzo invisibile - Seconda generazione, Yelena (Kseniya Rappoport), madre e leader degli "speciali", persone dotate di superpoteri braccate come mostri, che decidono di prendersi la loro rivincita sui "normali". Combattuto tra la madre adottiva, Giovanna (Valeria Golino), che lo ha cresciuto con amore, e quella naturale, che lo vuole forte e pronto a combattere, Michele (Ludovico Girardello), ragazzo dotato del potere dell'invisibilità, deve capire che persona, e che supereroe, vuole essere.
A quattro anni di distanza dal primo capitolo, il regista premio Oscar torna a esplorare il mondo dei supereroi, che, ci tiene a dirlo, non devono per forza essere senza macchia, ma possono anche decidere di usare male i propri poteri, se il loro percorso personale li ha portati fin lì. Abbiamo incontrato Salvatores a Roma, all'anteprima di Il Ragazzo invisibile - Seconda generazione, in sala dal 4 gennaio.
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"Sei sicuro che tua madre ti vuole bene?"
Secondo Salvatores la frase lancio del film avrebbe potuto essere: "Sei sicuro che tua madre ti vuole bene?": contrariamente a quanto succede di solito nei fumetti, in cui i supereroi diventano tali perché hanno subito un grave trauma familiare, qui sono proprio i genitori a creare scompiglio. "Non sempre essere la madre naturale vuol dire essere un buon genitore" ci ha detto il regista, spiegando meglio: "I figli sono di chi li cresce, nel film c'è un bel dibattito su questo: abbiamo una madre adottiva e una naturale e il confronto tra queste due figure femminili mi piace molto. È come nelle mitologie orientali: Parvati, che è la moglie buona, una madre dolce, ha un'altra faccia, Kali, la distruttrice che beve il sangue di quelli a cui ha tagliato le teste. È un aspetto del femminile: noi maschietti siamo più infantili".
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L'Oscar come superpotere
Da grandi statuette derivano grandi responsabilità: l'Oscar per Salvatores è stato come il morso del ragno radioattivo per Peter Parker: "Essendo cresciuto negli anni '70 avevo delle idee molto belle, ma anche molto sbagliate, e quando ho vinto l'Oscar ero convinto che Hollywood fosse l'impero del male, era quasi come se Darth Vader mi stesse consegnando il premio. L'ho vissuto così, ma sbagliavo, e questo mi ha aiutato, anche perché continuo a pensare che Lanterne rosse, che era in concorso insieme a Mediterraneo, sia più bello. Non so se sia stato meritato appieno ma, visto che un ragno mi ha punto conferendomi un superpotere, mi sono posto il problema di come usarlo: ho cercato di sperimentare delle cose che non sapevo fare, di imparare a fare cinema facendo cose diverse e di provare a fare un tipo di cinema che in Italia in genere non si fa, anche per dimostrare che in realtà si può fare".
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