Dal 30 settembre - in per alcuni giorni in sala - e poi dal 16 ottobre - su Netflix e quindi nel mondo intero - sarà possibile vedere Il processo ai Chicago 7, opera seconda di Aaron Sorkin, uno dei più grandi drammaturghi e sceneggiatori americani. Per parlare del film il cineasta si è concesso a una Industry Conference durante il Toronto International Film Festival, un filmato contenente il trailer del lungometraggio, una lunga conversazione con Sorkin e un breve backstage con i commenti di interpreti come Eddie Redmayne, scelto per il ruolo dell'attivista Tom Hayden. L'arrivo del film su Netflix, dopo essere stato inizialmente in mano alla Paramount, segna la fine di un lungo processo creativo che per Sorkin è iniziato nel 2006: "Andai a casa di Steven Spielberg, mi parlò della sua intenzione di fare un film sui Chicago 7 [attivisti che furono processati tra il 1969 e il 1970 con l'accusa di complotto e istigazione alla rivolta, n.d.r.], e io accettai subito di scrivere il copione. La prima cosa che feci fu chiamare mio padre [un avvocato, n.d.r] per chiedergli se avesse ben presente quel caso, perché io conoscevo vagamente i nomi di alcune delle persone coinvolte ma non sapevo praticamente nulla del processo stesso."
L'avventura con Steven Spielberg e Il processo ai Chicago 7 ha comportato diversi ostacoli: "L'idea era di farlo uscire prima dell'elezione presidenziale del 2008, poi quella del 2012 e poi quella del 2016. Adesso esce prima di quella del 2020. In mezzo c'è stato lo sciopero degli sceneggiatori, poi a un certo punto la regia doveva essere di Paul Greengrass, e poi ancora di Ben Stiller. A quel punto ho chiesto alla DreamWorks se potessi rielaborare il testo come opera teatrale, perché temevo che sarebbe costato più di quanto gli studios fossero disposti a spendere. Nel frattempo ho diretto il mio primo film, Molly's Game, e Steven l'ha talmente apprezzato da darmi il via libera per firmare la regia anche di questo. Inoltre, Donald Trump ha cominciato a tenere dei comizi elettorali in cui si esprimeva in termini nostalgici evocando situazioni come quella raccontata nel film, e mi sono reso conto che la storia dei Chicago 7 è ancora molto attuale. Adesso anche di più, ma abbiamo iniziato a girare prima delle proteste per gli omicidi di George Floyd e Breonna Taylor." Com'è stato passare da un film più piccolo a qualcosa di molto più ambizioso? "Un'evoluzione incredibile. Nel mio film precedente c'erano undici persone in totale. E in questo caso mi sono reso conto che non avrebbe avuto senso portare il testo a teatro, perché volevo mostrare la componente fisica dello scontro con la polizia."
Lo stile sorkiniano
Dalla conversazione emerge che il film, pur avendo certe ambizioni, non si discosta troppo da ciò che uno si potrebbe aspettare da Aaron Sorkin. Senza scendere troppo nei dettagli, perché il regista non vuole parlare di determinati aspetti prima del debutto ufficiale, si fa allusione a un prologo stracolmo di informazioni, ed è chiaro già dal trailer che siamo in territori che l'autore conosce bene, data la componente processuale. Spiega Sorkin: "Sì, è vero, mi piace catapultare il pubblico in una situazione che sta già andando a cento all'ora, ed è bello vederli cercare di stare al passo con ciò che sto raccontando. E poi certo, adoro i drammi processuali." Quanto è attuale questo progetto? "Senza svelare troppo, abbiamo girato una scena in particolare nel giorno del cinquantenario di uno degli eventi mostrati nel film, e da allora non è cambiato molto." Sorkin si concede anche un accostamento indiretto a ciò che accade dalla fine del 2016 con le dichiarazioni e le scelte dell'inquilino della Casa Bianca: "Ci sono alcune scene che, senza il disclaimer iniziale sulla storia vera, il pubblico troverebbe assolutamente ridicole."
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Altra caratteristica di Sorkin è quella di avvalersi di un cast corale fatto di grandi nomi, tra cui, in questo caso, Joseph Gordon-Levitt e il premio Oscar Mark Rylance ("Sono molto bravi", risponde con una risata il cineasta alla domanda sulla presenza di attori britannici in un film su una storia molto americana). C'è anche un Sacha Baron Cohen insolitamente serio nei panni dell'attivista Abbie Hoffman, e a detta del regista la cosa va ben oltre il talento dell'attore inglese: "Lui conosce molto bene la figura di Hoffman, ne parla anche nella sua tesi di laurea [Baron Cohen si è laureato in Storia all'Università di Cambridge, n.d.r.], sull'intersezione tra neri ed ebrei nella lotta per i diritti civili negli Stati Uniti in quel periodo. E sul set si portava dietro le registrazioni della vera voce di Hoffman, e le ascoltava fino a pochi secondi prima di girare. Era preparatissimo."
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