Il pianeta preistorico è finalmente arrivato. Una serie evento che molti appassionati di dinosauri, ma anche amanti dell'approccio documentaristico in generale, aspettavano con curiosità e passione. Cinque episodi per cinque giorni, dal 23 al 27 maggio su Apple TV+, piattaforma che conferma il percorso di qualità che ha impostato sin dal lancio, qui affidandosi a un narratore d'eccezione come David Attemborough e una produzione ambizione che ci è stata raccontata in conferenza stampa da Jon Favreau insieme ai collaboratori Mike Gunton e Tim Walker, oltre al paleontologo Darren Naish che ha curato l'aspetto scientifico. Il team ha illustrato l'aspetto tecnico oltre a quello narrativo che supporta la serie e alcune delle scelte fatte per la rappresentazione degli animali ricostruiti in CGI.
A bordo di una macchina del tempo
Uno dei primi temi toccati nel corso della presentazione riguarda la motivazione per realizzare una serie di questo tipo. "L'idea risale a una decina di anni fa" ha spiegato il produttore Mike Guntan, "ed è stato un processo in due fasi. L'ispirazione iniziale è venuta in Africa per registrare il contributo di David Attemborough per una serie intitolata About Africa. Disse che in nessun luogo al mondo la natura ha messo in piedi uno spettacolo più grande. E mi sono trovato a ripensarci in seguito, a chiedermi se sia sempre stato così. Mi sono chiesto quale sia stato il periodo più spettacolare ed è ovviamente l'epoca dei dinosauri. Pensai che sarebbe stato bello poter portare infilare tutta la troupe in una macchina del tempo e realizzare un documentario naturalistico su quel periodo."
Un'idea che è rimasta nella mente di Gunton a lungo, finché non ha iniziato a prendere forma quattro anni fa, a cominciare da un incontro con Jon Favreau negli uffici Apple. "Fu un confronto in cui iniziammo a parlare di leoni, ma nel quale ci siamo detti che sarebbe stato possibile costruire quella macchina del tempo, mettere tutti a bordo e realizzare questa serie. Ed è quello che abbiamo fatto."
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Gli strumenti per costruire Il pianeta preistorico
Quello che è stato rappresentato ne Il pianeta preistorico è ovviamente un mondo passato, da scoprire e ricostruire sfruttando sia le moderne tecnologie che le più aggiornate conoscenze su questi animali estinti. "Veniamo da due mondi diversi io e il resto del team" ha spiegato Jon Favreau, "loro hanno un background nei documentari naturalistici, io faccio parte del team della CGI. Ma mentre lavoravo a film come Il libro della giungla o Il re leone guardavamo proprio al lavoro fatto per quei documentari come ispirazione, per emulare quello che riuscivano a realizzare."
È stato un lavoro impegnativo e una lunga curva di apprendimento per imparare a riprodurre quelle immagini da parte del team tecnico, ma anche sul fronte opposto, da parte dei documentaristi, per imparare a sfruttare le tecnologia per i loro scopi. Favreau ha parlato di due o tre anni di conversazioni e confronti, sempre alla presenza del paleontologo Darren Naish. "Ho avuto l'opportunità di essere in prima fila e godermi lo sviluppo delle più moderne tecniche CGI, ma anche delle più moderne teorie paleontologiche e questo ha reso l'esperienza fantastica per me" ha detto ancora il regista de Il re leone.
Un mondo da scoprire e ricostruire
"Il pubblico potrà vedere i dinosauri rappresentati in un modo nuovo, come non li hanno mai visti prima e fare cose che non gli hanno mai visto fare prima" ha spiegato Tim Walker, "ed è grazie alla collaborazione di un team che vede Darren Naish a guidare il settore paleontologico, Jon Favreau a gestire la CGI e Mike Gunton a curare l'aspetto della messa in scena." Una collaborazione che ha portato a un risultato straordinario, dovuto anche ai progressi scientifici che hanno portato a guardare ai dinosauri come esseri viventi con i loro comportamenti, di cui i presenti in conferenza sono solo la punta di un iceberg composto da centinaia di professionisti che Favreau ha tenuto a ricordare.
"Ho avuto la fortuna di collaborare con una società di effetti visivi chiamata NPC, con cui ho iniziato a lavorare per Il libro della giungla e poi per Il re leone. Abbiamo sviluppato una serie di strumenti cinematografici che ci hanno permesso di emulare le riprese di veri animali con vere attrezzature. Per Il re leone non abbiamo mai lasciato lo studio e siamo riusciti a realizzare quelle immagini fantastiche grazie a una tecnologia innovativa, con ray tracing, strumenti per il simulare il pelo e tanti altri che sarebbero noiosi in una conferenza, ma diventano eccitanti mentre li vedi al lavoro. Questo ci ha permesso di far credere allo spettatore di avere una finestra privilegiata su un tempo passato e osservare questi animali nel loro quotidiano."
La finestra sul passato
In questo modo "la tecnologia scompare" e si ha la sensazione di guardare un altro tempo. "In parte è grazie alla grammatica del documentario" ha spiegato Tim Walker, "il modo in cui si gira una produzione del genere è molto specifica: abbiamo una sola camera quando siamo sul posto e la si può mettere solo in determinate posizioni. Così abbiamo riprodotto quei vincoli: anche se in un mondo in CGI puoi mettere la camera dove vuoi, non l'abbiamo fatto perché nel mondo reale non puoi. Ci sono inquadrature impossibili, perché nella realtà non si possono fare, e non le abbiamo fatte."
Per questo le immagini de Il pianeta preistorico sembrano reali mentre si guardano gli episodi, perché il team ha seguito queste regole: "non puoi fare un'inquadratura nel naso del T-Rex, perché se ci provi il T-Rex ti mangia" ha spiegato Walker come esempio concreto e per sottolineare perché la camera deve essere distante e col il teleobiettivo. "Lo sappiamo bene perché ci occupiamo di documentari naturalistici, lo abbiamo fatto per trent'anni." In questo caso però si è andati anche sul campo, per girare splendide location che potessero dare la giusta grandiosità al prodotto finito: "abbiamo uno splendido documentario naturalistico con le immagini che merita... ma con i dinosauri al suo interno."
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I dinosauri del Cretaceo
Il passo successivo è stato scegliere i dinosauri da raccontare e il periodo di riferimento. "Abbiamo scelto l'ultima parte del Cretaceo, un periodo noto come Maastrichtiano" ha spiegato il paleontologo Darren Naish, "perché ospita un cast di dinosauri molto popolari. Il Tirannosauro e il Triceratopo sono di questo periodo. Inoltre si tratta del periodo più recente di tutta l'era dei dinosauri, quindi quella di cui disponiamo il maggior numero di informazioni su cui basarci per le ricostruzioni." Non ci sono solo i nomi grossi, ma una quarantina di specie di dinosauri, in un contesto ambientale che è ugualmente noto e ha permesso di "ritrarre il loro ambiente in modo realistico."
Naish non è stato solo un consulente occasionale, ma un vero membro del team produttivo e questo ha assicurato l'attenzione che traspare dalle immagini su schermo, necessaria quando affronti un argomento del genere più che in un film di finzione. Ci si è basati sui ritrovamenti fossili, ovviamente, ma anche sui parenti più prossimi nell'albero evolutivo per studiarne i comportamenti, come spiegato da Favreau. Ricostruzioni che hanno rappresentato spesso una sfida, come illustrato da Darren Naish: l'esempio che ha fatto riguarda il secondo episodio e la scelta di rappresentare i colli dei sauropodi e i sacche aerifere di cui dispongono anche come strutture per mettersi in mostra. "Si tratta di una valida speculazione, giustificata dalla nostra comprensione dell'anatomia di questi animali."